Abbiamo visto quanto sia
facile scambiare le immagini con la realtà che rappresentano. Ma
l’identificazione è anche fonte di grossi equivoci soprattutto quando si tratta
di questioni importanti. Per non cadere nella trappola, prima di tutto è
necessario capire a quale tipo di immagine ci troviamo di fronte e qual’è il
motivo per cui ci viene presentata. Prendiamo l’esempio dalle figure presenti
nei segnali stradali. Lo scopo per cui sono realizzati è quello di informare il
viaggiatore sulle condizioni della strada e soprattutto di mettere in guardia
da eventuali pericoli. Per ottenere questo si ricorre a disegni stilizzati
secondo schemi convenzionali che non hanno nessun riscontro preciso con la
realtà che viene rappresentata in forme astratte. Nessuno si aspetta di
trovarsi davanti due bambini che si tengono per mano come quelli del segnale. E
anche se ne vede uno solo, oppure una frotta vociante e disordinata che gli
attraversa la strada, sa che deve frenare anche se l’immagine che ha visto
prima è diversa dalla realtà che vede davanti a sé.
Potrà anche sembrare
banale, ma è capitato spesso – non solo in passato – che i racconti della
Bibbia abbiano avuto una lettura che non teneva conto della finalità e della
tecnica letteraria con cui erano stati composti. Una di queste tecniche
consisteva nell’accostare due o più racconti diversi o addirittura
contrastanti. Il lettore intelligente era messo in guardia dall’attribuire
all’uno o all’altro un valore assoluto ed era così invitato a riflettere sulla
complessità dell’esistenza umana che sfugge sempre ad ogni catalogazione
riduttiva. Le “idee chiare e distinte” non erano l’ideale che guidava la conoscenza
del mondo antico, esposto molto più di noi alle incertezze e alla precarietà
della vita quotidiana.
Era ben consapevole di
questi limiti l’autore di un libro del Tanak (la Bibbia scritta in ebraico) che
conosciamo come il Qohèlet, quando elencava le quattordici coppie di eventi
contrapposti con le quali sintetizzava l’esperienza dell’uomo. “C’è un tempo per nascere e un tempo per
morire… C’è un tempo per demolire e un tempo per costruire… C’è un tempo per
tacere e un tempo per parlare… C’è un tempo per la guerra e un tempo per la
pace” (Qohèlet 3,2-8) scriveva,
convinto che solo Dio poteva conoscere il senso di tutto ciò che accade (cfr.
3,9-15).
Se leggiamo i racconti
biblici tenendo presenti queste considerazioni, non ci meraviglieremo delle
dissonanze, che anzi diventeranno elementi che garantiscono la fedeltà del
narratore nel riportare quanto era riuscito a sapere su di un avvenimento o su
di un personaggio, descritti senza manipolazioni. E quando queste ci siano
state, potranno anche essere facilmente scoperte.
Forse molti avranno
sentito parlare di un libro della Bibbia intitolato Giudici. Il libro riporta
una serie di racconti sulle imprese compiute dai capi di diverse tribù che
formavano il popolo di Israele. Tutti conoscono la storia di Sansone con le
imprese mirabolanti che gli sono attribuite (Giudici cap. 13-16), altri conosceranno anche i racconti
riguardanti Gedeone (cap. 6-8), forse pochi avranno sentito parlare di Debora
(cap. 4-5).
Certamente sono
pochissimi quelli che sanno qualcosa di un certo giudice chiamato Tola o di un
altro detto Iair. Ma neanche chi ha scritto di questi due illustri sconosciuti
ne sapeva qualcosa di più. Del primo era riuscito a ricuperare qualche notizia
riguardante la famiglia, il luogo di nascita e quello della sepoltura ma niente
altro. Eppure, ci dice che aveva governato per ben ventitre anni! (Giudici 10,1-2). Il secondo, nei
ventidue anni di governo generò “trenta
figli, che cavalcavano trenta asini e avevano trenta città” (10,3-5),
grande impresa che gli meritò una fama imperitura! Poco importa se il testo
ebraico insiste sugli asini dimenticando le città, come invece riportano le
antiche versioni.
Il numero “trenta”
doveva essere carico di significati per gli antichi ebrei se lo troviamo ancora
riferito alle gesta di un altro giudice di nome Ibsan, ricordato solo perché “ebbe trenta figli, maritò trenta figlie e
fece venire da fuori trenta fanciulle per i suoi figli” (12,8-10). Del
giudice seguente non è rimasto nessun ricordo se non il nome, Elon, la
provenienza, la durata del suo governo e il luogo della sepoltura. Un po’ più
fortunato Abdon, ricordato perché “ebbe
quaranta figli e trenta nipoti, i quali cavalcavano settanta asinelli”
(12,11-15).
È evidente che questi
racconti sono ricordi popolari raccolti e riportati fedelmente senza alcuna
pretesa di ricostruzione storica, come la intendiamo noi. Tutto ci porta a
pensare che anche le gesta degli altri Giudici, nonostante siano ricche di
tanti particolari, abbiano le stesse caratteristiche dei racconti più sobri e
che quindi debbano essere valutati con gli stessi criteri: sono “storici”
perché hanno conservato gelosamente i ricordi di un popolo e non perché
descrivono esattamente quanto accaduto in un passato lontano.
Chi
ha raccolto e ordinato questi brandelli di memoria collettiva ci ha fornito
anche la chiave per capire le sue intenzioni. All’inizio della sua opera
dichiara apertamente di aver scoperto in tutte le vicende che si accinge a
raccontare un filo conduttore: la presenza del Dio di Israele nelle vicende del
suo popolo attraverso l’invio di uomini o donne a cui affida un compito di
grande responsabilità (Giudici
2,6-3,6). Si tratta quindi dell’interpretazione religiosa di avvenimenti che
devono essere considerati nel loro insieme. Una lettura che non tenga conto di
questo aspetto è contraria a quanto vuole comunicare la Bibbia.
Questo
principio vale anche per gli altri libri che consideriamo sacri. Ad esempio, se
leggiamo solo il capitolo primo della Genesi, non possiamo dire che ci troviamo
di fronte all’insegnamento della Bibbia sull’origine del mondo e dell’umanità.
Infatti il capitolo seguente presenta un’idea diversa e in contrasto con quella
del capitolo primo. Non è qui il caso di presentare la spiegazione di questi
due testi. Anche solo una lettura rapida e superficiale rende evidente che si
tratta di due concezioni differenti dello stesso tema. L’accostamento delle due
tradizioni dimostra che né l’una né l’altra corrisponde esattamente a quello
che noi chiamiamo Big Bang.
È come
se il compilatore del libro dicesse: “Mi chiedi come ha avuto origine il mondo?
Non lo so, c’è chi la descrive in un modo e chi in un altro. Però tutti sono
convinti che tutto ha avuto origine da un intervento di Dio”. Poi potremo
discutere se questa convinzione coincide con le nostre idee, ma non possiamo
accusare la Bibbia di falsità a questo riguardo, perché la Bibbia stessa dice
di non avere una risposta unica alla nostra domanda. Come lo dice? In un modo
disarmante: presentando semplicemente due risposte diverse. Eppure tutti
sappiamo quali conseguenze ha portato una lettura di questi racconti come se
fossero un resoconto scientifico di quanto accaduto. Si sono inventati
collegamenti assurdi tra i “giorni” della Genesi e le ere geologiche degli
scienziati moderni, si sono cercate tracce che giustificassero l’evoluzione
delle specie, tutto per mettere d’accordo la Bibbia con la scienza. Bastava
ricordare che l’immagine non è la realtà e si sarebbe risparmiato tempo e
polemiche inutili.
Anche
quando presentano i personaggi gli autori biblici seguono lo stesso criterio,
riportano le notizie che hanno raccolto e le offrono ai loro lettori. Come in
un quadro si alternano luci e ombre così nel racconto virtù e vizi, forza e debolezze,
coraggio e viltà delineano una figura molto vicina alla realtà, senza la
pretesa di rappresentarla completamente. Lo abbiamo già notato in riferimento
al re Salomone, esaltato in alcuni testi e condannato in altri per i suoi
comportamenti.
Lo
stesso avviene per suo padre, il grande re Davide. Se qualcuno dicesse che era
un sanguinario, uno scellerato, sul capo del quale il Signore ha fatto ricadere
il sangue che aveva sparso uccidendo tutti i membri della famiglia del re Saul,
susciterebbe la meraviglia di molti abituati a sentire altre definizioni del
santo re rappresentato mentre suona la cetra con la quale accompagna il canto
dei Salmi da lui composti in onore di Dio. Eppure quelle accuse sono scritte
nella Bibbia che le attribuisce ad un oppositore del re, ma in realtà
descrivono un aspetto documentato ampiamente in altre pagine (cfr. 2 Samuele 16,5-14).
Le
difficoltà di capire il significato dei testi non è da attribuire alla Bibbia
ma sta nel lettore che si lascia condizionare dai propri pregiudizi e rifiuta
di vedere quanto è scritto davvero nei testi. Proviamo a leggere questi libri non
per sapere che cosa è accaduto in
quei tempi lontani ma per conoscere che cosa
ricordavano gli Ebrei della loro storia e come e perché lo hanno raccontato così. Forse qualcuno dirà che è una
scappatoia, ma è l’unico metodo di lettura “scientifico” perché, lo ripeto
ancora fino alla noia, ci troviamo di fronte a delle “immagini della realtà e
non alla realtà rappresentata”.
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