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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

giovedì 20 gennaio 2011

10. Quando è stata scritta la Bibbia ? (Alle radici della nostra fede)

Questa domanda, come tante altre che ci sentiamo rivolgere a proposito della Bibbia, risente della nostra cultura, che considera il mondo antico guidato dalle stesse regole che controllano le nostre abitudini e le nostre scelte. In realtà le cose andavano diversamente da oggi.
Da alcuni secoli a questa parte, noi siamo soliti scrivere
su ogni pubblicazione l’anno in cui il libro è stato stampato, e riteniamo una grave scorrettezza la mancanza del nome dell’autore, della casa editrice e di tante altre informazioni che ci aiutano a collocare il libro nel suo contesto di origine. È una preoccupazione giusta e facciamo bene a tenerci.
Ma in passato non era così. Non esisteva la SIAE e i diritti d’autore non si sapeva che cosa fossero. Di conseguenza gli autori si defilavano spesso dietro a pseudonimi, o a nomi di personaggi celebri, o non si curavano minimamente di far sapere chi aveva scritto una certa opera. Tanto meno si preoccupavano di indicare la data di pubblicazione del loro lavoro. Pensiamo solo a quanto sappiamo sull’autore dell’Iliade e dell’Odissea.
Proprio nella Bibbia però, abbiamo un’eccezione a questo comportamento. Nel Prologo del libro che oggi chiamiamo Siracide, il traduttore (che era nipote dell’autore) scrive che ha iniziato il suo lavoro di traduzione nell’anno trentottesimo del re d’Egitto Evergete. Siamo dunque verso il 130 del nostro calendario. Si può ragionevolmente pensare che il nonno del traduttore abbia composto la sua opera una cinquantina d’anni prima, cioè verso il 180 a. C. Ma, come detto, si tratta di un’eccezione non solo per la data, ma anche per quanto riguarda il nome dell’autore, cioè “Gesù figlio di Sirac”.
Per cercare qualche informazione sui problemi di datazione e di autori biblici dobbiamo quindi fare riferimento ai dati tradizionali o, meglio ancora oggi, su elementi che si possono dedurre dagli stessi testi, come ad esempio caratteristiche della lingua, idee esposte, usi e costumi dei protagonisti, riferimenti ad avvenimenti conosciuti della storia profana. È uno studio delicato e complesso, che oggi ha raggiunto buoni risultati ritenuti abbastanza soddisfacenti, anche se sono sempre suscettibili di modifiche in tanti particolari.
Per quanto si riferisce ai libri dell’Antico Testamento, gli studiosi sono abbastanza concordi nell’ammettere che sono stati composti, nella forma che è giunta a noi, a partire dal 500 a. C. fino a giungere a pochi decenni prima della nascita di Gesù. Si sarebbe trattato di una grande opera di raccolta delle tradizioni antiche del popolo ebraico, organizzate in modo sistematico per conservare alle generazioni successive il patrimonio religioso di un popolo che aveva rischiato, con l’esilio a Babilonia, di perdere la propria identità e addirittura la propria vita.
Ispiratore e animatore di questa impresa colossale potrebbe essere stato un personaggio al quale la Bibbia attribuisce un grande interesse per le tradizioni degli Ebrei, un certo Esdra. Sotto la sua direzione editoriale (detto con linguaggio moderno), diversi studiosi ebrei avrebbero raccolto diligentemente tutti i ricordi sulle vicende del proprio popolo, cercando in esse una spiegazione dei fatti e dei personaggi più importanti della propria storia. A questa raccolta iniziale si sarebbero poi aggiunti altri scritti nei secoli successivi.
Molti libri dell’Antico Testamento risultano composti da raccolte di antiche tradizioni popolari, accostate tra di loro in modo da dare l’idea di una continuità della storia, nella quale pure si riscontrano dei “buchi” (cioè mancanza di ricordi precisi) lunghi anche alcuni secoli.

Don Giovanni Boggio (Biblista)



9. La Bibbia: una biblioteca (Alle radici della nostra fede)

Quando vediamo la Bibbia, generalmente ci troviamo di fronte ad un volume solo. Se però lo sfogliamo ci accorgiamo che è formato da tanti libri con titoli diversi ed ognuno suddiviso in capitoli. Guardando più attentamente vediamo che ci sono altre divisioni interne e notiamo anche una curiosità che non troviamo in altre pubblicazioni, almeno in quelle recenti. Il testo è pieno di numeri scritti in carattere più piccolo, che sono messi all’inizio delle singole frasi. Ce n’è abbastanza per mettere in crisi un
lettore moderno che non conosca già la Bibbia e che voglia incominciare a leggerla.
Prima di tutto notiamo che il titolo “Bibbia” comprende tutto il volume, che si divide in due parti. La prima, più lunga, porta come sottotitolo “Antico Testamento”, la seconda, più breve, è intitolata “Nuovo Testamento”. Ho sentito qualche volta affermazioni di questo tipo: “Non ho letto la Bibbia, però ho letto il Vangelo”. Questa contrapposizione non ha senso. Infatti il Vangelo (o meglio “i quattro Vangeli”) è una parte della Bibbia intera, per cui la frase corretta potrebbe essere: “Non ho letto tutta la Bibbia, ma solo un Vangelo” oppure “I quattro Vangeli”.
L’Antico Testamento è la Bibbia che abbiamo ricevuto dagli Ebrei, scritta nella loro lingua o in aramaico. Gli Ebrei la chiamano “TaNaK”, un acronimo formato con le iniziali delle parole ebraiche che indicano le tre parti in cui suddividono i libri sacri, “Torah, Nebiim, Ketubim”, cioè “Legge, Profeti, Scritti”. In tutto sono 24 libri, ma bisogna tener conto che gli Ebrei considerano un libro unico la raccolta degli scritti dei “Dodici Profeti”. Ci sono anche altri casi analoghi. Questo fatto rende problematico rispondere alla domanda che spesso si sente: “Quanti sono i libri della Bibbia?”. Dipende dal modo di considerarli, divisi o raggruppati.
La volta scorsa ho accennato al fatto che noi Cattolici consideriamo appartenere all’Antico Testamento alcuni libri che sono giunti a noi soltanto in lingua greca e che gli Ebrei non considerano sacri. Così per i Cattolici si aggiungono alla raccolta dell’Antico Testamento altri libri in numero variabile tra i sei e gli otto, a seconda del modo di dividerli o di raggrupparli.
Per il numero dei libri che formano il Nuovo Testamento non ci sono problemi particolari: sono ventisette, così suddivisi: 4 Vangeli, Atti degli Apostoli, quattordici lettere di S. Paolo, sette lettere cosiddette “cattoliche”, Apocalisse.
Facendo i conti, secondo i Cattolici la Bibbia completa comprende settantadue libri, più due che generalmente sono uniti ad altri. Ritornando all’elenco dei libri dell’Antico Testamento, noi lo suddividiamo in questo modo: Pentateuco (cioè i primi cinque libri), libri storici, libri poetici e sapienziali, libri profetici. Decisamente, per chi non è un po’ addentro a questi argomenti la cosa si presenta abbastanza oscura e anche arida. Però se non si sanno questi particolari è difficile orientarsi all’interno di questa che possiamo chiamare a buon diritto una “biblioteca”.
Resta l’ultimo mistero: i piccoli numeri che costellano tutto il testo biblico. Ciò non è dovuto agli scrittori antichi, ma al fatto che per trovare facilmente una parola o una frase della Bibbia, a partire dal Medioevo fino al Rinascimento, alcuni studiosi hanno inventato questo sistema  di numeri per facilitare la ricerca e la consultazione della Bibbia, sistema adottato anche per le edizioni dei testi degli autori classici greci o latini.


Don Giovanni Boggio (Biblista)



8. Le Lingue della Bibbia (Alle radici della nostra fede)

Il racconto della “torre di Babele” ha la sua origine proprio nella Bibbia. Da quell’episodio viene fatta derivare la confusione delle lingue, che avrebbe portato con sé l’incomprensione tra gli uomini e di conseguenza anche le lotte e le guerre sanguinose. Gli studiosi  affermano che l’etimologia che spiega il nome “Babele” come equivalente a “confusione” non è accettabile. Ma l’uso popolare ormai si è impossessato della parola, e la nostra tradizione linguistica lo ha ormai legato a quel significato peggiorativo.
Anche la Bibbia è una vittima della molteplicità delle lingue, con tutti i guai che ne derivano per la comprensione delle sue pagine....
I testi  biblici, come ci sono giunti dall’antichità,  sono stati scritti in tre lingue: ebraico, aramaico e greco.
Qui sorge la prima difficoltà ad andare d’accordo, tra quelli che considerano la Bibbia un libro sacro. Gli Ebrei ritengono sacri solo i testi scritti in lingua ebraica o aramaica. Noi Cristiani consideriamo sacri anche i libri che ci sono giunti in lingua greca. Tra questi comprendiamo, naturalmente, quello che chiamiamo Nuovo Testamento, ma anche alcuni libri che appartengono all’Antico Testamento, non considerati sacri dagli Ebrei, proprio perché scritti in greco. Questa divisione si è poi riproposta anche tra i Cristiani in seguito alla Riforma protestante. Oggi le confessioni protestanti accettano come libri sacri dell’Antico Testamento solo quelli riconosciuti dagli Ebrei.
Messo da parte (ma non risolto) questo primo ostacolo, si presenta subito la difficoltà di capire queste lingue antiche, così diverse dalle nostre. Incominciamo dal modo di scrivere l’ebraico. Anticamente si scrivevano solo le consonanti, mentre le vocali erano certamente pronunciate, ma non erano riportate nello scritto. Questo sistema è usato anche per l’ebraico moderno. Chi lo conosce bene, afferma che così è  più facile leggere, oltre che essere più veloce anche la scrittura. Il senso esatto delle singole parole dipende comunque dal contesto. Altra difficoltà deriva dall’uso di scrivere le parole tutte di seguito, senza segni di interpunzione o di stacco tra una parola e l’altra.
Ci sono poi difficoltà dovute alla grammatica e alla sintassi molto diverse dalle nostre, soprattutto nel significato dei verbi che non hanno forme corrispondenti alle nostre per indicare i vari tempi e modi.
Anche la lingua greca presenta caratteristiche in parte analoghe a quelle dell’ebraico, pur avendo un alfabeto che comprende anche le vocali e molto diverso nell’indicare i vari segni. Anche la grammatica e la sintassi greca, benché molto più conosciute dell’ebraico nei nostri ambienti culturali, e più vicine alla nostra lingua, possono nascondere dei tranelli per l’esatta comprensione dei testi antichi.
A ciò si aggiunga la difficoltà di ricostruire i testi originali dei libri biblici, che sono giunti a noi in migliaia di copie, per lo più limitate a qualche parte, e con differenze nella trascrizione dei testi.
A questo punto forse qualcuno si chiederà: ma allora come facciamo a sapere che cosa sta scritto nella Bibbia? Posso rassicurare i lettori: nessun libro antico è stato tanto studiato quanto la Bibbia da generazioni di appassionati che vi hanno dedicato tutta la loro vita per darci un testo sicuro e delle traduzioni sempre più fedeli e corrispondenti al significato originale. Oggi poi, con la conoscenza sempre più ampia del mondo antico, possiamo comprendere le pagine della Sacra Scrittura in modo molto vicino a come le capivano i primi ascoltatori. L’unica differenza è che essi capivano al volo quelle parole perché anch’essi parlavano così, noi invece dobbiamo studiare! E questo ci costa tempo e fatica, che non sempre siamo disposti a dare allo studio della Bibbia.

Don Giovanni Boggio (Biblista)


7. La Bibbia è rivelata ? (Alle radici della nostra fede)

Sul Tempo di giovedì 6 marzo, erano presentati i lavori di un convegno sulla Bibbia tenuto presso l’Accademia dei Lincei. Gli illustri studiosi che hanno dato vita al convegno hanno illustrato l’ambiente storico presupposto dai racconti biblici, analizzando i reperti archeologici e letterari delle fonti extra bibliche e confrontandoli con i dati che ritroviamo nella Bibbia.
Il problema non è sorto in questi ultimi anni, ma risale all’inizio delle scoperte
archeologiche fatte nel Medio Oriente. Si è discusso molto sul fatto che spesso i dati risultanti dal confronto tra le diverse fonti non sono concordi. Quasi sempre, nel passato, gli studiosi laici ritenevano errate le affermazioni della Bibbia e davano la preferenza a quelle provenienti dai documenti egiziani, assiri, babilonesi, persiani. Di contro, gli studiosi credenti difendevano con i denti quanto diceva la Bibbia. È diventato celebre un libro intitolato “La Bibbia aveva ragione”, nel quale l’autore piegava alle sue tesi favorevoli alla “storicità” del testo sacro anche i documenti profani che non lo riguardavano.
Oggi sembra che le polemiche si siano un po’ calmate. Si è capito sempre meglio che se si legge la Bibbia con maggior attenzione al modo di esprimersi di chi l’ha scritta, certe affermazioni diventano più comprensibili e non sembrano poi così diverse da quelle che emergono dalla documentazione proveniente da altri popoli. Tenendo conto del tempo trascorso tra i fatti e l’epoca di composizione dei libri che li raccontano, considerando la difficoltà di accedere ad una documentazione sicura, tenendo presente che i ricordi degli avvenimenti erano affidati prevalentemente alla memoria, non fa meraviglia che gli autori biblici, come anche gli autori profani, possano essere incorsi in inesattezze nel narrare certi particolari.
Senza dimenticare che tutti gli “storici”, a qualsiasi popolo appartengano, hanno sempre narrato la storia dal proprio punto di vista. Basta pensare alle interpretazioni delle vicende riguardanti la liberazione dell’Italia nel 1945, sulle quali gli storici contemporanei non sono ancora riusciti a mettersi d’accordo. Il 25 aprile ha dimostrato ancora una volta quanto siano lontane le posizioni degli studiosi di quel periodo, pur così vicino a noi.
Ma, si obietta, la Bibbia non ci viene presentata dalla tradizione cristiana come “Parola di Dio”? Quindi se è Dio che ci racconta gli avvenimenti deve farlo con assoluta precisione! Già, ma ci si dimentica che la tradizione ha sempre insegnato che Dio parla attraverso gli uomini, che si esprimono secondo le loro capacità e conoscenze, che possono essere limitate. Oggi nessuno si meraviglia se gli autori biblici, come tutti gli uomini del loro tempo, erano convinti che il sole girasse attorno alla terra. Abbiamo capito che Dio “non voleva insegnarci come è fatto il cielo, ma come si vada in cielo”, cioè in paradiso. Lo aveva già capito Galileo Galilei, autore della frase che ho citato.
Non c’è incompatibilità tra l’accettare o criticare le narrazioni degli storici biblici e credere che Dio ha rivelato la Bibbia. La Sacra Scrittura racconta storia, ma non è un libro di storia; descrive la natura, ma non è un trattato di scienze naturali:  è una raccolta di libri che si interessano di teologia.
 Non si capisce allora il sottotitolo messo all’articolo citato all’inizio: la Bibbia “è libro storico, non rivelato”. Fa piacere sentire riconosciuta la storicità dei racconti biblici (anche se con molti problemi), ma ciò non cancella affatto il loro carattere di “rivelazione”. Dio ci ha rivelato non i fatti in se stessi ma il valore religioso che da quei fatti deriva. E questo solo la Bibbia ce lo dice.
Don Giovanni Boggio (Biblista)


6. Evoluzionismo e Bibbia (Alle radici della nostra fede)

Da quando Darwin ha avanzato la sua ipotesi sull’evoluzione degli esseri viventi si è scatenata una lotta tra scienziati, teologi, semplici credenti e atei sulla interpretazione della Bibbia nelle pagine che parlano delle origini del mondo. Le posizioni erano sostanzialmente due. La prima, detta “evoluzionista”, dava credito alle ipotesi darwiniane e negava ogni valore alle affermazioni bibliche. La seconda, che veniva detta “fissista”, rifiutava
le nuove idee e interpretava le prime pagine della Genesi come se descrivessero la creazione da parte di Dio, in modo assolutamente fedele, dal punto di vista scientifico.
Dopo più di un secolo di scontri durissimi, sembra che oggi le posizioni si stiano chiarendo. Gli scienziati non sono più considerati avversari della fede, in modo particolare negatori delle affermazioni della Bibbia. Dal canto loro gli esegeti hanno capito come si devono leggere le pagine della Sacra Scrittura, contestualizzate nel loro ambiente di origine e legate a mentalità e linguaggi che sono conosciuti sempre meglio.
In altri termini, si è arrivati ad un riconoscimento reciproco sulla divisione dei campi di ricerca. Sia le scienze naturali che l’esegesi biblica sono diventate sempre più “scientifiche” e meno “ideologizzate”. Gli scienziati si sono limitati a studiare i reperti fossili, ad analizzarli, a cercare di datarli, a collegarli tra di loro, ad inserirli nella lunga storia della trasformazione del mondo servendosi di strumenti sempre più sofisticati,  perfetti e costosi. Gli studiosi della Bibbia si sono convinti che gli autori delle pagine bibliche non volevano scrivere trattati scientifici e non potevano nemmeno farlo, almeno con i metodi della scienza moderna. Il loro intento era quello di interpretare la realtà con i parametri culturali tipici del loro tempo per comunicare un messaggio religioso.
L’antropologo Fiorenzo Facchini (insignito nel 2002 dall’Accademia dei Lincei del Premio Internazionale per l’antropologia), in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera (21 febbraio 2003), affermava: “(L’evoluzione) non è una posizione scientifica ma ideologica. L’evoluzione suppone la creazione: è una considerazione di tipo filosofico che va oltre il campo della scienza. Come anche l’esistenza dell’anima, che è una realtà spirituale e non può evolversi dalla materia. Comporta un salto ontologico e richiede una volontà creatrice di Dio”. E ancora: “Dio può aver creato un mondo con proprietà e leggi che lo fanno evolvere. È possibile cioè che si realizzi il mondo ordinato anche attraverso eventi che riteniamo casuali, ma che si svolgono secondo un disegno. […] E aggiungo che (il darwinismo) è un modello interpretativo, non un dogma”.
A conclusione, l’illustre scienziato affermava: “Gli equivoci sorgono quando si vuol far dire alla scienza quello che non può, perché esorbita dal suo campo empirico […] O si vuole ricavare dalla Bibbia quello che non vuole dire, perché essa contiene un messaggio religioso, non scientifico. […] Tali posizioni sono fondamentalismi di segno opposto. A ben leggere il fenomeno evolutivo nel disegno di Dio, le luci son più delle ombre”.
Don Giovanni Boggio (Biblista)


No alla guerra !!! (Alle radici della nostra fede)

NO  ALLA  GUERRA !!!

Oggi siamo tutti mobilitati a dire un no deciso alla violenza, soprattutto a quella che si manifesta con le guerre. Rifiutiamo ogni tipo di guerra, sia quella fatta con i carri armati e i missili, sia quella combattuta in modo subdolo mediante vili attentati, sia la violenza di dittature che soffocano la libertà o quella di società che antepongono il profitto economico ad ogni altra considerazione umanitaria.
Noi cristiani siamo convinti che questa sensibilità, che si sta diffondendo in strati sempre più
vasti della popolazione mondiale, è anche frutto di una penetrazione del vangelo nel mondo contemporaneo. Certamente vi sono tante altre componenti culturali che hanno portato a questo rifiuto della violenza. Non credo comunque, che tra queste matrici si possano elencare ideologie che quando hanno potuto trasformarsi in potere politico hanno compiuto stragi e massacri, reprimendo con i carri armati i movimenti indipendentisti di intere nazioni. E questo non nei secoli lontani, ma in anni che tutti noi ricordiamo chiaramente per averli vissuti.
Se andiamo nel lontano passato, anche i cristiani si sono adeguati, purtroppo, alla logica della guerra e della violenza come strumento di governo. Di questi comportamenti il Papa ha chiesto perdono, riconoscendo che quel modo di agire non era certo ispirato all’insegnamento del Vangelo.
Ma non lo era nemmeno in riferimento alla Bibbia nella sua interezza che, per noi cristiani, comprende anche i libri sacri che abbiamo ricevuto dagli Ebrei, cioè l’Antico Testamento. Nel numero precedente ho cercato di collocare i racconti biblici nel loro contesto storico, non tanto per giustificare quanto invece per capire i comportamenti dei nostri lontani antenati.
La tentazione di eliminare la Bibbia dalle nostre letture, dalla nostra vita è molto forte in parecchi contemporanei, anche e soprattutto se sono persone di fede. Ma se cediamo a queste suggestioni è come se volessimo eliminare la storia. Sarebbe un chiudere gli occhi illudendoci che quanto ci disturba non esista più solo perché non lo vediamo. La storia non può essere eliminata, deve essere capita, anche per non ripetere gli sbagli compiuti in passato.
Se dovessimo eliminare tutti gli scritti che raccontano di violenze, dovremmo svuotare le nostre biblioteche. Non solo i grandi poemi dell’antichità, ma le opere di pensatori, di artisti, di drammaturghi, di registi dovrebbero essere condannate al rogo. E che cosa rimarrebbe della nostra cultura? Nella migliore delle ipotesi, un fiore reciso, che staccato dalle radici è destinato a marcire in breve tempo.
Per capire chi siamo e che cosa facciamo abbiamo bisogno di conoscere da dove veniamo, senza scandalizzarci se le radici della nostra società affondano nel fango. L’importante è chiamare il letame con il suo nome e non presentarlo invece come un cibo squisito, come un nettare inebriante.
In una lezione di bioetica che ho ascoltato qualche giorno fa, il relatore sottolineava che l’evoluzione delle specie viventi è stata molto lenta e che la situazione attuale è il risultato di infiniti tentativi non riusciti. Forse la stessa cosa avviene nel lento crescere e maturare dell’umanità, testimoniato e guidato da Dio stesso che ce ne dà il resoconto nelle pagine ispirate della Bibbia.
Forse la nostra generazione è destinata a compiere una mutazione genetica radicale: dare l’addio definitivo alla violenza per costruire quel mondo di amore e di pace che la Bibbia fa derivare dall’opera del Messia. Senza illuderci che questo si realizzi da un anno all’altro.
Don Giovanni Boggio (Biblista)


4. La Bibbia è crudele ? (Alle radici della nostra fede)

È opinione molto diffusa, fin dai primi decenni della Chiesa, che nell’Antico Testamento ci siano dei racconti terribili che dimostrano la cattiveria di un dio che gode nel punire gli uomini con castighi tremendi. Lo affermava Marcione, un eretico vissuto agli inizi del secondo secolo cristiano, che voleva cancellare dalla Bibbia tutti gli episodi che raccontano atti di crudeltà, per di più compiuti per obbedire
ad un ordine di Dio. Anche nelle settimane passate la stampa ha presentato alcuni cristiani che ripetevano le stesse affermazioni, rifiutando di leggere la Bibbia nella sua interezza.
Che ci siano racconti del genere è fuori dubbio: non occorre dimostrarlo. Che la nostra reazione di fronte a quelle atrocità sia di rifiuto totale è una cosa sommamente positiva e dimostra quanta strada l’insegnamento di Gesù ci abbia fatto fare nell’affinare la sensibilità di fronte alle guerre e alla violenza in genere. Ma di qui a rifiutare la Bibbia il passo è troppo lungo per poterlo accettare.
Chi reagisce con il rigetto della Bibbia dimostra di non conoscere come si deve leggere un testo, soprattutto antico. Il primo atteggiamento da tenere è cercare di capire il senso di un testo. Lo si ricava dall’insieme di tanti elementi: lingua, letteratura, storia, geografia, usi, cultura, religione, condizioni sociali, ecc.
Nel 90 per cento dei casi non ci troveremo d’accordo sul comportamento degli antichi. Ma nemmeno il fatto che questi comportamenti siano descritti nella Bibbia ci obbliga a ripeterli anche noi nella nostra vita. Chi si ispira a questo criterio può definirsi un “fondamentalista”, e sappiamo quanto questi individui siano pericolosi ai nostri giorni.
Per capire i racconti di violenza e crudeltà della Bibbia, senza scandalizzarsi, è necessario fare alcune considerazioni. La prima è di carattere letterario. La Bibbia stessa ci dice chiaramente che non ci sono stati, da parte del popolo ebraico, tutti quei massacri spaventosi di popolazioni inermi, che si potrebbero ricavare, per esempio, dal libro di Giosuè. La situazione storica “vera” si trova descritta nel libro dei Giudici che ci presenta gli Ebrei in frizione continua con le popolazioni locali. E queste spesso avevano il sopravvento, facendo strage dei nuovi immigrati che, quando ci riuscivano, si prendevano la rivincita.
Sempre di carattere letterario è il gusto di descrivere i fatti non con la preoccupazione di fare una cronaca scarna, ma con l’intento di presentare in modo epico le gesta dei propri eroi.
La storia ci insegna che il comportamento in guerra dei popoli antichi (ma i nostri contemporanei non sono migliori!) era basato sulla violenza estrema contro i vinti. È diventata proverbiale la crudeltà degli Assiri, che non sto a descrivere per non urtare la sensibilità dei lettori. Purtroppo era il clima che si respirava in tutto il mondo antico e che anche i moderni teorizzano in modo elegante con l’espressione francese “à la guerre comme à la guerre”, che potremmo tradurre: “quando si fa la guerra non si deve andare tanto per il sottile”.
La difficoltà maggiore però deriva dal fatto che questa violenza è attribuita ad un ordine esplicito di Dio. Anche in questo caso, l’impressione negativa può essere mitigata, almeno in parte, dalla considerazione che anche gli altri popoli attribuivano al proprio dio nazionale gli stessi sentimenti che gli Ebrei vedevano nel proprio Dio. Spesso la guerra era questione di vita o di morte per intere popolazioni. Non c’è niente di strano che quella gente affidasse alla divinità la propria sopravvivenza.
Un’ultima considerazione: ricordiamo che nella Bibbia Dio si manifesta in modo “progressivo”, il  che presuppone quindi un cammino di approfondimento successivo e di maturazione lenta della nostra conoscenza di Dio e del suo modo di agire.
Don Giovanni Boggio (Biblista)

3. Tremila anni fa (Alle radici della nostra fede)

Nella Bibbia dobbiamo distinguere bene i fatti e i personaggi, dai racconti  che li ricordano. I primi risalgono, a volte, ad epoche remotissime, addirittura fino all’origine del mondo e dell’umanità; i secondi, cioè i racconti, nascono dopo i fatti narrati, spesso a molti anni o addirittura secoli o millenni di distanza. La Bibbia raccoglie i ricordi di epoche lontane come erano conosciuti da un popolo che si è affacciato piuttosto di recente alla ribalta della storia: gli Ebrei.
Prima del popolo ebraico l’umanità aveva
già vissuto centinaia di migliaia di anni. Si erano succeduti imperi grandiosi che avevano sviluppato lentamente delle civiltà che ancora ci stupiscono. Anche solo limitandoci all’area del Vicino Oriente (Egitto, Palestina, Siria, Iraq, Iran, Turchia) conosciamo una serie di grandi potenze militari e di culture molto avanzate, per quell’epoca.
Gli Ebrei fanno risalire gli inizi della loro storia alle vicende di una piccola famiglia di nomadi che lentamente si è accresciuta vivendo in mezzo a popolazioni diverse, dalle quali ha assorbito usi e costumi, lingua e cultura e con le quali si è confrontata per una religione diversa per molti contenuti, ma simile per usanze rituali e comportamenti esterni.
Ecco perché nella Bibbia troviamo elementi comuni con i libri di altri popoli. Ciò è dovuto ai rapporti stretti (non sempre amichevoli) che intercorrevano tra Ebrei e popolazioni con le quali venivano a contatto.

In che modo comunichiamo tra noi?
Il nostro modo di comunicare non avviene soltanto attraverso le parole, ma anche attraverso segni, gesti, immagini, ammiccamenti, silenzi... Quasi tutti questi linguaggi sono largamente convenzionali. In altre parole, ci siamo messi d’accordo che quel suono indica quella cosa o quell’azione, che quel segno si riferisce ad un’altra cosa, che un determinato gesto significa qualcos’altro. Per esempio, per noi muovere la testa in giù indica che siamo d’accordo con chi ci parla, cioè indica la risposta affermativa. Se invece muoviamo la testa orizzontalmente da destra a sinistra alternativamente, vuol dire che non siamo d’accordo: diciamo “no”. Ma in altri paesi, anche in Italia, il “no” è indicato con il movimento della testa dal basso verso l’alto, e sarebbe l’esatto contrario del movimento che indica il “sì”.
Il modo di comunicare degli antichi non corrisponde sempre al nostro. In particolare i popoli orientali amavano esprimersi attraverso immagini molto colorite, e questa abitudine continua anche oggi. Dalla (prima?) guerra del Golfo è diventato comune anche tra noi l’uso della parola “madre” per indicare la più importante di una serie di cose o di avvenimenti. Allora si parlava di “madre di tutte le battaglie” e poi si è applicata l’espressione a molte altre realtà della vita quotidiana.
La Bibbia è stata scritta da popolazioni orientali e quindi abbonda di espressioni che comunicano il pensiero attraverso immagini legate all’ambiente storico, geografico, culturale, sociale di epoche lontane da noi nel tempo e nei gusti letterari. Per avvicinarci al Libro Sacro è richiesto a noi lo sforzo di entrare in un sistema di comunicazione diverso dal nostro.
    Ma ne vale la pena perché è attraverso quel linguaggio che Dio continua a comunicarci la sua volontà.

Don Giovanni Boggio (Biblista)

2. Impariamo a leggere (Alle radici della nostra fede)

Siamo abituati a prendere in mano il giornale, a sfogliarlo rapidamente dando un’occhiata ai titoli per farci un’idea del contenuto dei diversi articoli e pensiamo di esserci fatta un’idea della situazione mondiale. In pochi minuti ci siamo aggiornati, abbiamo capito tutto.
Non ci accorgiamo nemmeno che il nostro giornale è un concentrato di notizie scritte con parole appartenenti alla nostra lingua (a parte l’inglese!) ma messe insieme in modi molto diversi tra di loro.
Soltanto se ci mettiamo a leggere con attenzione,
ci rendiamo conto che la lingua italiana, negli articoli che parlano di politica è usata in modo diverso da quello con cui sono scritti gli articoli sportivi, o quelli che si interessano di finanza, o degli spettacoli, o di letteratura, e così via.
Noi non abbiamo in mano un semplice giornale, ma una raccolta di testi differenti tra di loro nel contenuto e nel modo di esprimersi. Però siamo così abituati a passare da un tipo di linguaggio all’altro che quasi non ci facciamo caso. Questa varietà di espressioni fa parte del nostro mondo culturale e ce la sentiamo quasi cucita addosso, quasi una seconda natura che ci porta ad esprimerci come leggiamo sui giornali o come sentiamo parlare alla TV o alla radio, senza che ne siamo consapevoli.
Supponiamo di leggere sul giornale una frase di questo tipo: “Rossi, giunto a due passi dal portiere, gli ha sparato in bocca”. Che cosa significa? Si tratta di un delitto? Tutto lo lascia supporre. E potrebbe proprio descrivere un omicidio. Tutto dipende dalla sezione del giornale in cui quella frase si trova: se è riportata in cronaca ha un significato, se la trovo nel resoconto di una partita di calcio assume un valore molto meno drammatico, almeno per i tifosi della squadra a cui appartiene il portiere!
Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Da tutti si ricava che il significato delle parole dipende non dal semplice termine linguistico, ma dalle relazioni che si stabiliscono tra quel termine e quelli che lo accompagnano, il tutto dipendente da un contesto ancora più ampio che è, ad esempio, la sezione del giornale in cui quella parola si trova. Senza parlare del contesto linguistico, per cui una parola italiana ha un significato ben diverso dalla stessa usata in una lingua diversa. Pensiamo ad esempio a “burro” che in spagnolo significa “somaro” o al verbo italiano “amar” che, letto come se fosse ebraico, significa “disse”, ecc.

La Bibbia è una raccolta di libri differenti...
La Bibbia si presenta come un volume unico, ma in realtà è come una biblioteca formata di tanti libri, ognuno dei quali ha le proprie caratteristiche differenti da quelle degli altri. Soprattutto differenti dai libri scritti nei secoli successivi e ai nostri giorni. Spesso non ci rendiamo conto di queste differenze e leggiamo i testi biblici come se fossero tutti uguali. Per tornare all’esempio del giornale, corriamo il rischio di leggere un libro che, supponiamo, parla di politica come se trattasse di finanza o di letteratura. Dopo quanto detto, credo sia evidente il grosso pericolo di non capire il senso di quanto leggiamo o di capire il contrario di quanto l’autore voleva dire.
Ma, si potrebbe dire, leggendo il giornale non faccio queste confusioni. Certamente, perché il giornale fa parte del mio mondo, sono cresciuto con il giornale in mano e mi muovo con naturalezza tra le pagine diverse, attribuendo ad ognuna il suo vero valore. Ma per la Bibbia il discorso è diverso perché la Bibbia è stata scritta tanti secoli fa.

Don Giovanni Boggio (Biblista)

1. Alle radici della nostra fede

Parlando con diverse persone che frequentano le nostre chiese, capita sempre più spesso di sentire una richiesta insistente: «Fateci conoscere i fondamenti della nostra fede!».
È una domanda stimolata a volte da trasmissioni televisive, che affrontano problemi religiosi con la superficialità inevitabile in eventi massmediali, rivolti al grande pubblico con l’intento di catturare l’attenzione e di fare “audience”. Anche i giornali e i settimanali presentano
 inchieste sull’attualità religiosa o su fatti del passato che hanno coinvolto la Chiesa, suscitando dubbi o interrogativi che spesso trovano impreparati non solo i “cristiani della domenica” ma anche quelli più impegnati in associazioni e movimenti ecclesiali.
Ultimamente si è aggiunto un altro motivo di riflessione causato dal confronto-scontro con la realtà islamica che pone delle domande con la sua stessa presenza, senza bisogno di esprimersi con interrogativi espliciti.
In breve, oggi si sente sempre più viva la necessità di conoscere a fondo i motivi per cui siamo cristiani. Non è più sufficiente essere stati battezzati per considerarsi cristiani. In passato ci si accontentava di un’infarinatura di catechismo, di risposte preconfezionate imparate a memoria ma che non incidevano nelle scelte di vita.
Oggi sentiamo urgente il bisogno di capire, di renderci conto personalmente del perché si dicono e si fanno certe cose. Non basta più sapere che “l’ha detto il parroco” oppure il Papa, per convincerci a fare o non fare, a dire o non dire, a credere o no a quanto insegna la Chiesa.

Siamo devoti di san Tommaso

Potremmo quasi considerarci tutti “devoti di san Tommaso”, quello di cui parla il vangelo, quello che ha preteso di vedere e toccare per poter credere. Credo che oggi questo atteggiamento sia diventato doveroso, se non è dettato da presunzione ma da un desiderio sincero di conoscere quali sono le radici della nostra fede.

È ormai convinzione abbastanza diffusa che la fede cristiana è fondata sulla Bibbia. Ma quando chiediamo quanti l’hanno letta, riceviamo risposte sconfortanti. Mi raccontava un insegnante di religione, che nessuno dei suoi alunni aveva in casa una Bibbia completa; qualcuno aveva solo il Vangelo, ma pochi lo avevano letto.
ePer non scoraggiarci del tutto, bisogna tener presenti recenti inchieste, che hanno rilevato la bassissima percentuale di italiani che leggono libri. In una cultura così trascurata non meraviglia che la Bibbia sia quasi del tutto sconosciuta, viste le difficoltà oggettive che la sua lettura comporta.Un altro elemento negativo è che molti sono convinti di conoscere la Bibbia perché ricordano alcune storie bibliche, sentite raccontare da bambini. Purtroppo anche una cosiddetta cultura laica continua a ripetere degli stereotipi che non hanno niente da spartire con quanto è scritto veramente nella Bibbia. Quanti sono convinti che la Bibbia parli della famosa mela di Eva, o delle muraglie di acqua in mezzo alle quali sono passati gli Ebrei nel Mar Rosso, o degli angeli con le ali che svolazzavano, a volte allegri e più spesso corrucciati, in mezzo agli uomini, o della cometa o dei tre re magi o di altri particolari del genere.

Se fondiamo la nostra fede su storie di questo tipo, non solo facciamo un torto alla Bibbia, ma riduciamo la fede stessa ad una favola ridicola. Se vogliamo essere persone serie non possiamo liquidare la Bibbia come se fosse un libro di favole per bambini, senza nemmeno conoscerla in modo diretto. Non sarebbe un’operazione seria e nemmeno onesta.
Diversi lettori della nostra rivista, ci hanno chiesto di aiutarli a capire come si deve leggere il libro nel quale affonda le sue radici non solo la fede cristiana, ma anche quella ebraica e, in qualche misura, pure quella islamica.
È un’impresa ardua, sia per le difficoltà oggettive che presenta, sia soprattutto per i limiti imposti da una pubblicazione quindicinale. A voler essere ottimisti abbiamo a disposizione una quindicina di numeri in un anno. A quanti interrogativi è possibile rispondere in modo abbastanza soddisfacente?
Nonostante le ristrettezze di tempo e di spazio abbiamo accettato la sfida, contando sull’interesse dei lettori, sulla loro comprensione e soprattutto sull’assistenza di Chi è il primo responsabile di tutta la Bibbia e cioè quello Spirito di Dio che l’ha ispirata e che continua a garantirne la verità, a patto che la si legga “come Dio vuole” cioè con fede e con intelligenza.

Don Giovanni Boggio (Biblista)