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Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

lunedì 4 agosto 2014

IL VANGELO DIMEZZATO

Il brano di vangelo che abbiamo letto nella liturgia di domenica 27 luglio proponeva tre parabole che formano una unità letteraria molto interessante (Matteo 13,44-52). Purtroppo anche in questo caso la lettura che ne è stata data nei secoli passati e che è ancora radicata nella mentalità e nella prassi di molti cristiani non rispecchia il significato del testo di Matteo...

Le conseguenze di un’interpretazione riduttiva dell’insegnamento evangelico (come si vedrà) si possono verificare nell’immagine che molti hanno della fede e della vita cristiana. Non possiamo negare che molti atteggiamenti dei cristiani danno l’impressione di gente insoddisfatta della vita e che non trova nella propria fede motivi sufficienti per un impegno a migliorare la società. Certamente ci sono i santi del passato che si sono distinti per le loro attività caritative, ci sono tanti contemporanei impegnati nel sociale.

Ma la sottolineatura che si tende ad evidenziare, e che è diventata prevalente nella mentalità comune, porta in primo piano le rinunce ai beni materiali, alle gioie della vita, la scelta volontaria delle sofferenze come se non bastasse la rassegnazione ad accettare quelle che ci vengono addosso anche senza che le cerchiamo. In poche parole, noi cristiani siamo conosciuti come gente che rinuncia ai valori della vita presente nella speranza di ottenere un premio in una vita futura che si fa sempre più evanescente nella coscienza comune.

Sono sicuro che molti reagiranno indignati a questa analisi e diranno che la nostra fede non è così. Ma non basta protestare per modificare una convinzione diffusa e fondata su tanti comportamenti evidenti a tutti. Sono convinto che la lettura superficiale di queste tre parabole, insieme ad altri passi dello stesso tipo, sia stata la causa della deformazione del messaggio evangelico nel senso negativo che abbiamo rilevato.

Abbiamo messo in primo piano la frase: “vende tutto” e l’abbiamo isolata dal contesto. In questo modo Gesù ci chiederebbe di ridurci al lastrico come quei due ingenui che ci presenta come modello, o come i pescatori della terza parabola che faticano tutta la notte per poi buttar via parte di quanto hanno pescato. Ma è proprio questo che ci chiede il nostro Maestro? È proprio questo quanto è scritto nel testo di Matteo? Solo l’analisi letteraria del racconto ci aiuta a capire che cosa ha voluto comunicarci Gesù per dirci che cosa fare per essere felici.

E allora, pazientemente, cerchiamo di vedere come è costruita questa unità letteraria. Per prima cosa è evidente che il tema centrale è “il regno dei cieli”. L’uomo lo incontra in tre modi diversi. Nella prima parabola l’incontro avviene in modo casuale, nella seconda è il risultato di una lunga ricerca, nella terza invece fa parte della vita dei pescatori, è il loro mestiere. Nei primi due casi, l’incontro con il “tesoro” lascia pensare che abbia cambiato in meglio la vita dei due fortunati.

La terza situazione, quella dei pescatori, fa pensare ad un impegno di routine senza trasformazioni significative delle abitudini. Soltanto nel primo caso si sottolinea che il fortunato è “pieno di gioia”, comprensibile per la sorpresa dovuta al ritrovamento inaspettato. Il mercante invece considera la scoperta della perla preziosa come frutto della sua abilità e del fiuto per gli affari. Manca la sorpresa ma rimane la soddisfazione per l’investimento realizzato.

Anche questo fa parte del mestiere e non c’è bisogno di evidenziarlo. Il caso dei pescatori introduce un elemento nuovo: il “tesoro” quotidiano, cioè la pesca abbondante indicata dalla rete “piena”, esige un’ulteriore fatica per separare il vero tesoro (i pesci buoni) da ciò che è inutile o addirittura dannoso (i pesci cattivi). Quest’ultimo particolare porta l’attenzione sulla composizione del regno dei cieli.

Dalla visione idealizzata delle prime due parabole alla descrizione di una realtà complessa che non perde però il suo valore (è condizione di vita per i pescatori) nonostante la presenza di elementi negativi. Di fronte al regno dei cieli presentato come un tesoro, i primi due fortunati hanno un momento di riflessione in cui valutano quanto hanno scoperto e fanno i loro calcoli studiando il modo di venirne in possesso.

Quando sono convinti di fare un vero affare non hanno esitazioni e vendono ogni cosa sicuri di realizzare un investimento che darà una svolta positiva alla loro vita. In un primo momento si trovano senza soldi e anche il tesoro non è che si trasformi subito in moneta corrente. A prima vista possono sembrare dei poveracci, dei falliti, degli illusi, ma la certezza di possedere qualcosa di grande impedisce loro di sentire la rinuncia come un peso.

Per i pescatori, la condizione di vita non è presentata come frutto di una scelta infelice, ma è affrontata serenamente, con naturalezza, nonostante i limiti legati alla natura del mestiere. È una situazione diversa dalle prime due ma basata sullo stesso principio condiviso: la convinzione di aver finalmente realizzato il sogno di una vita. Di fronte a queste considerazioni è evidente che vedere nelle tre parabole, se non esclusivamente, almeno come prevalente l’invito alla rinuncia è assolutamente riduttivo dell’insegnamento che Gesù ha voluto dare.

Al limite, è tradire l’annuncio del vangelo. Se manca l’entusiasmo o almeno la consapevolezza razionale dei valori proposti da Gesù, saremo sempre dei perdenti, frustrati nel rimpianto delle cipolle e dell’aglio d’Egitto, come gli ebrei nel deserto. Ma con questo atteggiamento non riusciremo mai a convincere nessuno che essere cristiani non vuol dire “essere cretini”, come sosteneva tempo fa un matematico che imperversava sui giornali e alla TV. Senza arrivare però a scimmiottare altri, promovendo manifestazioni di “christian pride”.