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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

lunedì 25 luglio 2016

DUE STRANE COPPIE


Pane-Combattere

Pace-Pagare


Dico subito che l’accoppiamento mi è risultato strano leggendo i quattro termini in ebraico. Ho voluto verificare con un gruppo di amici se condividevano la mia sorpresa. Naturalmente non ho anticipato il problema che mi ero posto. Anzi, ho cercato di confondere le idee introducendo un intruso, una coppia di termini assolutamente “normale” ma aperta ad altri accoppiamenti: formaggio-mangiare.
     Il verbo poteva essere unito a pane, come formaggio poteva andare d’accordo con pagare. Per gli altri termini mi aspettavo che pace venisse unita a combattere  per l’influsso del titolo del noto romanzo “Guerra e pace”. Mi sembrava che fossero questi gli abbinamenti suggeriti dalla logica.
Le risposte degli amici hanno confermato la mia impressione. La maggioranza ha abbinato pace a combattere mentre pane e formaggio si sono divisi tra chi voleva pagare e chi preferiva mangiare. Un gruppetto ha sfidato la logica, forse perché conosceva bene chi aveva proposto il giochino. Qualcuno ha formato le coppie strane grazie a reminiscenze linguistiche.
Ringrazio gli amici per l’ampia collaborazione. Spero di rispondere alla curiosità nata da questo strano sondaggio presentando le tappe che mi hanno spinto a proporre il giochino delle coppie.

Ritorno alle origini

Il punto di partenza può sembrare banale: il confronto tra i quattro termini (il formaggio non c’entra!) in ebraico. Come tutti sanno (sarà vero?) la lingua ebraica era scritta solo con le consonanti, come accade anche oggi. Aggiungendo le vocali si formano parole diverse. Un piccolo esempio in italiano. Se scrivo tre consonanti, ad esempio c r t  posso leggere: corto, certo, creta, corte, carta, accorto, carota, carati, curato, carità... Il contesto mi aiuta a capire come devo leggere e quindi non dirò mai “un mazzo di crete da gioco” oppure “ha comprato un gioiello da 18 carote” o ancora “In piedi, entra la carota!”. In italiano non ci sono incertezze ma in ebraico la possibilità di leggere una parola in modi diversi è abbastanza frequente.
In italiano, come nell’esempio che ho fatto, le consonanti c r t  senza vocali non sono abbinate a nessun significato particolare, non comunicano un’idea. Invece in ebraico ai gruppi di consonanti è legato un concetto generale che viene poi specificato e applicato a casi particolari grazie alle vocali e ad aggiunte iniziali o finali. Ad esempio il gruppo m l k  esprime l’idea di governare, regnare. Se aggiungo le vocali a a avrà valore di verbo: malak = egli regnò. Se aggiungo e e leggerò melek = re; se leggo malka = regina; leggendo malkut = regno; himlik = egli proclamò re. Questi gruppi di tre consonanti sono chiamati radici dalle quali possono derivare molte parole con significati affini.
Mi scuso per la lunga premessa ma era necessaria per capire la mia perplessità. Infatti i quattro termini pane, pace, combattere, pagare in ebraico sono scritti con due soli gruppi di consonanti, rispettivamente l ch m  (lechem= pane – lacham = combattere)  sh l m  (shalom = pace – shillem= pagare). Se derivano dalla stessa radice, che rapporto c’è tra significati tanto diversi? Oppure bisogna pensare a radici con significato già diverso all’origine?

Il linguaggio è creato dalla vita

Poteva sembrare una questione accademica, un perditempo da pensionato sfaccendato. Ma alla fine mi sono accorto che la risposta è di un’attualità sorprendente e spiega tutti, proprio tutti, i drammi che stiamo ancora vivendo e che hanno tormentato la vita delle generazioni passate. “Il solito esagerato” – dirà qualcuno. Vediamo di capirci qualcosa. Intanto preciso che mi sono servito, come sempre, dei vocabolari a mia disposizione, e di tutto quello che ho conosciuto in questi anni del mondo antico, soprattutto di quello presentato nella Bibbia. Non nascondo che ho riempito qualche buco con un po’ di fantasia, ma anche per questo posso portare a mia scusante, esempi di studiosi illustri.
Per prima cosa ho visto che la radice l ch m  oltre che combattere significa anche mangiare, nutrirsi. È l’esigenza fondamentale per sopravvivere. Nel mondo in cui è nata la lingua cananea che noi abbiamo chiamato ebraica (altra questione intrigante…) l’elemento di base dell’alimentazione è il pane (lechem).  Se lo colleghiamo ad un verbo, questo può significare nutrirsi ma prima ancora può indicare la ricerca del nutrimento, cioè far provvista di pane. Si presenta questa necessità quando sono esaurite le scorte e bisogna riempire i magazzini. Noi diremmo: fare la spesa rivolgendosi a chi ha ciò che ci serve.
Le riserve di frumento potevano esaurirsi prima della nuova mietitura che poteva avvenire, a seconda delle regioni, dalla primavera inoltrata (come nella depressone del fiume Giordano dove si trovava Gerico) fino all’inizio dell’estate. Era il periodo per rinnovare le provviste che riguardavano tutto il clan guidato da un capo con il titolo di melek. Questo termine è tradotto come re, il che ci fa pensare spontaneamente al capo di un grande impero, cosa che non corrisponde alla realtà di quei tempi lontani. Per fare un esempio con il nostro linguaggio, il responsabile di un paesino sperduto tra i monti ha lo stesso titolo del sindaco o sindaca di Roma, anche se il numero dei cittadini è ben diverso.
Il re (il capo clan di un gruppo di famiglie) guidava una delegazione incaricata di fare gli acquisti di frumento e di trasportare la merce acquistata. In quei tempi lontani gli acquisti avvenivano attraverso lo scambio di merci, ad esempio ad un certo numero di pecore corrispondeva una determinata quantità di frumento. Se il re del clan che aveva frumento in sovrabbondanza accettava lo scambio pattuito era come se non avesse rinunciato a niente era “completo” come prima e altrettanto avveniva per il re che si portava via la provvista per il suo clan: ognuno era completo, era shallem e i due potevano salutarsi amichevolmente chiedendo: “Shalom?” (tutto a posto?) e rispondendo “Shalom!” (OK!). E se ne andavano in pace, uno aveva pagato (shillem) e l’altro aveva ricevuto quanto gli era dovuto.
Ma le cose non filavano sempre così lisce. Si dava il caso che il re a cui si chiedeva il frumento non volesse o non potesse soddisfare la richiesta. Il re che aveva offerto lo scambio di merci, che cosa poteva fare? I suoi morivano di fame, non poteva tornare a mani vuote. E allora, “prendete tutto quello che potete anche se non vogliono darvelo, lottate, saccheggiate, combattete, pensate ai vostri figli!”.  “Fare la spesa” è diventato “fare la guerra” senza nemmeno lo sforzo di cambiare verbo.
E così noi ci troviamo a chiederci che c’entra il pane con la guerra e la pace con i pagamenti. La storia di queste quattro parole così intrecciate tra di loro rivela la trama nascosta delle vicende umane di sempre. Non può esserci pace senza equilibrio tra dare e avere, senza giustizia sociale. L’idea della completezza legata alla radice sh l m  non solo esclude qualsiasi privazione di diritti ma implica l’attuazione di ogni elemento positivo per il benessere di ogni persona, a partire dal diritto al nutrimento indispensabile per godere buona salute fino ad abbracciare tutto ciò che rende la vita felice: una famiglia numerosa (erano altri tempi!), la stima degli amici, la mancanza di preoccupazioni e, naturalmente, una ricchezza adeguata.
Quando l’equilibrio viene alterato scatta automaticamente la reazione violenta che nasce dalla necessità di sopravvivere. La ricerca del pane si trasforma così in lotta per la vita dove si gioca tutto per tutto perché non c’è più niente da perdere.

La Bibbia: una web cam live sul passato per capire il presente

La Bibbia contiene molti racconti ambientati in un mondo nel quale possiamo vedere quasi la nascita di questo linguaggio, il formarsi del vocabolario che usiamo ancora senza renderci conto  delle vicende complesse che l’hanno generato. Tra queste ha avuto un posto importante la carestia, dovuta a motivi diversi ma sempre comunque portatrice di conseguenze devastanti. Era collegata ad altre due catastrofi considerate il castigo esemplare per i peccati del popolo: pestilenza, carestia, guerra, una trilogia che poteva anche essere espressa con immagini correlate e ampliata secondo i casi, come in Geremia 15,2 (morte, spada, carestia, schiavitù).
La carestia poteva spingere una famiglia a trasferirsi in una regione confinante (Rut 1,1) per un periodo limitato, fino al termine dell’emergenza. Oppure costringere i capi famiglia ad acquistare il frumento anche in paesi lontani, come nel caso dei figli di Giacobbe che vanno a rifornirsi in Egitto. Il racconto lungo e dettagliato di Genesi41,53-47,26 offre un esempio significativo delle possibili trasformazioni da migrazione temporanea ad insediamento stabile, da accoglienza di un cliente occasionale ai sospetti di un’invasione di una popolazione straniera, da problema economico a questione politica. Sarebbe interessante un’analisi del racconto da questo punto di vista.
Col passare del tempo, alla lotta per sopravvivere si è affiancata la lotta per motivi di prestigio, di orgoglio personale del capo, diventato melek re a tutti gli effetti. Esemplare il primo versetto del capitolo 11 del secondo libro di Samuele: “1All’inizio dell’anno successivo, al tempo in cui i re sono soliti andare in guerra, Davide mandò Ioab con i suoi servitori e con tutto Israele a compiere devastazioni contro gli Ammoniti; posero l’assedio a Rabbà, mentre Davide rimaneva a Gerusalemme”. Il testo ebraico dà per scontato che a primavera (inizio dell’anno) i re, come se si svegliassero dal letargo invernale, “escono” a saccheggiare i territori confinanti senza essere costretti da motivi di sopravvivenza. In realtà non sono i re a combattere. Mandano l’esercito che hanno messo insieme arruolando anche truppe mercenarie, mentre il re se ne sta tranquillamente nel suo palazzo dedicandosi magari, come nel caso di Davide, a combattimenti di tutt’altro genere.
Sono ormai tramontati i tempi in cui il capo famiglia andava personalmente a fare provvista per tutti i familiari, disposto anche a lottare per procurare il cibo ai suoi figli. La guerra (milchama) non ha più niente in comune con il pane (lechem) anzi è diventata una delle sciagure peggiori che affliggono l’umanità. Parecchi secoli dopo queste lontane origini, un ebreo tedesco ha riscoperto il legame tra fame e rivoluzione proletaria e l’ha teorizzato proponendolo come modello da seguire. Se avesse avuto la pazienza di leggere qualche altro testo biblico, come abbiamo cercato di fare noi, si sarebbe accorto che mettendosi su questa strada si finiva alla guerra fine a se stessa con le conseguenze che sperimentiamo anche noi in questi giorni drammatici che stiamo vivendo.
Lo aveva capito molto bene un altro ebreo, vissuto a Gerusalemme due mila anni fa, Senza ripercorre la lunga strada dalla lotta per vivere alla guerra in se stessa, definiva il potere come “dominio e oppressione” chiedendo ai suoi discepoli di non comportarsi allo stesso modo ma di imitare l’esempio che lui stesso aveva dato: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. 26Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore 27e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. 28Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti»(Matteo 20,25-28).