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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

venerdì 3 luglio 2015

UCCIDERE È RENDERE CULTO A DIO?


UCCIDERE È RENDERE CULTO A DIO?

 

La domanda angosciante dovrebbe affacciarsi alla coscienza di tutti davanti a situazioni che hanno contrassegnato la storia di popoli antichi ma che accompagnano ancora le cronache dei nostri giorni.

L’idea che le religioni siano la causa principale di guerre e di massacri è piuttosto diffusa. Non si fa distinzione, ma tutte sono considerate allo stesso modo. Nei nostri ambienti culturali si è soliti accusare in modo particolare il cristianesimo e soprattutto il cattolicesimo, di aver coltivato l’odio contro chi non era battezzato e non accettava di sottomettersi al papa di Roma. Sempre si tirano in ballo soprattutto le crociate descritte come un gioco al massacro degli infedeli usando come strumento la croce impugnata come una spada.

Le solite “Crociate”

Non intendo affatto sminuire le responsabilità dei cristiani, del papato, dei frati, dei predicatori. In nome di Cristo hanno commesso e istigato a commettere crimini ingiustificabili e non è difficile dimostrarlo. È anche vero che nei secoli successivi, e fino a non molti decenni fa, da parte cattolica si raccontava quella triste storia come un’epopea gloriosa in difesa della fede cristiana, mettendo tra parentesi gli aspetti che oggi invece sono presentati così in primo piano da dare l’impressione che i crociati fossero animati unicamente dal desiderio di trucidare vecchi, donne e bambini per il solo gusto di compiere stragi di innocenti.

A parte il fatto che, in questa ipotesi, resta da spiegare come mai popolazioni imbelli e pacifiche siano riuscite a ributtare a mare guerrieri armati fino ai denti, rinchiusi in fortezze che mettono ancora paura con le loro rovine e animati da odio feroce contro il nemico. Forse organizzando marce per la pace, cortei di protesta, petizioni per chiedere l’intervento di qualche autorità superiore? Non c’è stata, forse, qualche resistenza armata, qualche piccolo scontro di eserciti ugualmente agguerriti, qualche intervento violento per respingere gli invasori?

Questi, da parte loro, erano soltanto dei fraticelli smaniosi di uscire dai conventi di stretta osservanza per assaporare l’avventura mascherandosi sotto l’etichetta di “liberatori del santo sepolcro”? Non c’era per caso anche qualche imperatore che cercava di fare i propri interessi politici ed economici sfruttando la deriva del fanatismo religioso e mettendo in campo i propri eserciti ben armati e addestrati?

Via, siamo sinceri, Non sopravvalutiamo i preti e i religiosi. Sono prete e religioso anch’io e per esperienza vi assicuro che non siamo capaci di organizzare un esercito di quelle proporzioni e con quelle caratteristiche tipiche delle crociate. Al massimo mettiamo insieme un po’ di pellegrini per la terra santa, per qualche santuario che assicuri anche una reception confortevole. Mettendocela proprio tutta riusciamo anche ogni tanto ad organizzare una GMG. Raduniamo anche due milioni di giovani che si danno la carica con canti, balli, preghiere e messe (e forse anche con qualcos’altro…) ma non sfasciano negozi e vetrine. Lasciano solo dei rifiuti un po’ più abbondanti del solito, ma non costringono la polizia ad intervenire in tenuta antisommossa, né con gli idranti o i lacrimogeni e nemmeno con i manganelli.

La storia è “Magistra vitae”?

Penso che ne abbiamo fatta di strada, almeno a livello di sensibilità di fronte al problema del rapporto tra religione e violenza. Ma non è stato sempre così e la Bibbia lo dimostra con descrizioni di violenze inaudite praticate anche su ordine che si riteneva proveniente da Dio stesso. L’uccisione di vite umane come sacrificio offerto a Dio per placare la sua ira era comune a molti popoli antichi ed era condivisa anche dagli Ebrei, nonostante il rifiuto esplicito di queste pratiche espresso ripetutamente nella Bibbia.

Gesù supera in modo radicale questa problematica con il suo unico comandamento dell’amore, anche se finisce pagando con la propria vita la novità rivoluzionaria del suo insegnamento. La nostra cultura che, nonostante non lo voglia riconoscere ufficialmente, affonda le sue radici nella tradizione ebraico-cristiana-greca passando attraverso il filtro dell’illuminismo, non nasconde più la violenza (che però mette ancora in atto) sotto l’etichetta della religione. A denti stretti, ammette che a scatenare le guerre ci sono cause molto terrene e non nobili ideali come si voleva far credere in passato. Non basta certo scrivere sulle proprie divise lo slogan “Gott mit uns” con una croce contorta da un vortice per far passare come guerra di religione quella che è stata frutto di una mente delirante.

Lo stesso delirio però spinge ancora ad uccidere sistematicamente chi si rivolge a Dio in modo diverso dal proprio e a cancellare ogni traccia di altre culture, sopravvissuta alle distruzioni causate dalla barbarie iconoclasta dei secoli passati. Non ci siamo ancora liberati totalmente dall’incubo in cui ci avevano trascinati nazismo, fascismo, comunismo e ci troviamo di nuovo avvolti dalle tenebre di un fanatismo irrazionale che ci lascia basiti e increduli.  E che inoltre offre nuovi e abbondanti argomenti a sostegno della tesi che accusa le religioni di essere la causa delle guerre e di ogni altra violenza.

Ho sviluppato queste riflessioni lunedì mattina 11 maggio meditando sulla pagina del vangelo di Giovanni (16,1-2) proposta dalla liturgia: « Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio ». Sono rimasto colpito dall’attualità delle parole dette da Gesù per esortare i futuri discepoli a non avere paura nonostante le difficoltà che avrebbero incontrato a motivo della loro fede.

Nei secoli passati i cristiani hanno già dovuto affrontare situazioni drammatiche. Però la cultura che condividevano con i loro carnefici li aiutava a metabolizzare in senso positivo l’esperienza della persecuzione.

Ma oggi siamo indifesi dal punto di vista psicologico. Ci troviamo di fronte a qualcosa che ci sembra impossibile tanto è assurdo. Lo è per noi, non per chi non ha nemmeno il coraggio di mostrare la faccia mentre infierisce contro chi è stato legato da un gruppo di teppisti e non può difendersi. Nella nostra cultura chi si comporta così è definito vigliacco come lo è anche chi si intrufola in modo subdolo in un gruppo di persone pacifiche per compiere una strage.

Non sono eroi!

Diciamolo apertamente, ritroviamo la consapevolezza dei valori umani che stanno alla base della nostra cultura, ma siamo anche coerenti nel viverli. Non cediamo alla suggestione della violenza distruttrice. Se era sbagliato quello che anche noi abbiamo fatto in passato non diventa giusto oggi, solo perché è compiuto da bande di fanatici assassini.

Riconoscerli e denunciarli come tali è la condizione irrinunciabile per poterli sconfiggere e renderli inoffensivi. Senza compromessi ideologici o remore psicologiche.

 

(Da Vita della Diocesi di Viterbo, giugno-luglio 2015, pag. 32)