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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

giovedì 7 maggio 2015

BIBBIA E ALIENI (Salmo 82)

BIBBIA E ALIENI
(Salmo 82)

 “È vero che nella Bibbia c’è scritto che Dio muore come tutti gli uomini?”. La domanda mi è stata rivolta da un amico che l’aveva letta in un libro dove si parlava di alieni che avrebbero colonizzato la terra. La Bibbia avrebbe conservato il ricordo di queste presenze, interpretate come manifestazione di qualche divinità. Il Salmo 82 sarebbe una testimonianza evidente di come avvenimenti di un passato molto lontano siano stati letti in una prospettiva nuova che ne cambiava il significato.
Ma è proprio così? Proviamo a leggere il Salmo in questione, possibilmente senza pregiudizi, facendone un’analisi linguistica e letterale, prendendolo per come si presenta, cioè come una composizione letteraria con caratteristiche specifiche. Nel Salmo si trova effettivamente l’affermazione che gli “Elohìm” (esseri divini) muoiono. È un dato evidente e incontestabile. La domanda da fare è: “Chi sono questi personaggi nel testo in questione?”.

Che cosa sono i Salmi?
Il Salmo 82 fa parte di un gruppo di scritti che presentano una caratteristica comune: sono delle preghiere indirizzate al Dio adorato dal popolo ebraico in situazioni concrete. Non possiamo prescindere da questo elemento. In questa prospettiva ci apre uno scenario inquietante, se cerchiamo di  capire la situazione che ha spinto un pio ebreo a pregare il suo Dio con espressioni così forti.
Nella raccolta dei 150 Salmi non sono rare invocazioni a Dio perché intervenga a risolvere ingiustizie contro singole persone o contro il popolo. A volte la richiesta di aiuto si trasforma in autentica imprecazione. Quello che sorprende nel nostro caso, è la denuncia contro un’intera classe di soggetti che a quell’epoca dovevano rivestire incarichi molto importanti. I termini usati per indicare questi (ir)responsabili suggeriscono di vedere un’intenzione dissacratoria nella preghiera del salmista, che non si nasconde dietro l’anonimato ma viene chiamato per nome: Asaf.
Ma come si giunge all’identificazione dei personaggi a cui si riferisce il Salmo? Nel testo ebraico sono chiamati “Elohìm” termine di forma plurale che comunemente viene usato per indicare gli esseri divini, cioè gli dèi rappresentati negli idoli. Però lo stesso termine definisce anche il Dio di Israele, come nel nostro Salmo al v. 1 e come in Genesi 1,1 e seguenti. Va notato però che quando si riferisce a Dio i verbi sono alla terza persona singolare.
Il termine in se stesso non ha dunque un significato univoco. Nel Salmo 82 abbiamo però una descrizione dettagliata delle azioni attribuite a questi Elohìm nei versi da 2 a 4. Sono accusati di emettere sentenze inique per favorire i delinquenti a danno della povera gente e per ricavarne un vantaggio personale. Sembra però che si tratti di autorità che hanno il compito non solo di applicare le leggi ma anche di produrre leggi giuste  che dovrebbero garantire il benessere soprattutto dei più deboli.
Nel Salmo ricorre quattro volte il verbo shaphat; due volte ha per soggetto Elohìm ed è usato alla terza persona singolare (vv. 1.8), due volte è al plurale riferito agli Elohìm (vv. 2.3). Il verbo in questione indica certamente la funzione esercitata dai giudici nei tribunali ma si estende anche a quello che noi chiamiamo potere legislativo o, più in generale, alla responsabilità di governare il popolo. Il libro dei Giudiciattribuisce questo titolo ai capi delle rispettive tribù ai quali spettava anche il compito di guidare l’esercito. Il riferimento sarebbe dunque alle autorità che governavano lo stato in tutti i settori del potere, politico, giudiziario, economico, culturale, religioso.
Dunque non è azzardato supporre che, all’interno del popolo ebraico i gestori di questo potere condividessero un’opinione comune a quei tempi quando il potere (in ogni sua manifestazione) era fatto derivare da un’investitura ricevuta dalla divinità. L’idea era radicata nelle popolazioni dell’Oriente ed è documentata ampiamente nell’antico Egitto dove il Faraone era considerato un essere divino e come tale era onorato e venerato. Qualcosa di analogo si verificava in Grecia come anche a Roma soprattutto in epoca imperiale.
 La Bibbia esprime la stessa idea quando presenta i capi del popolo come scelti da Dio, usando la terminologia dell’elezione divina. Forse era stato lo stesso potere che aveva inventato la teoria che non solo giustificava ma sacralizzava la gestione dell’autorità. Il passo a considerare i governanti degli esseri superiori ai comuni mortali era molto breve e terribilmente allettante.
Con queste premesse era quasi inevitabile che i capi finissero per considerarsi onnipotenti potendo decidere della vita e della morte dei loro sudditi, potendo disporre dei beni materiali prodotti con fatica dal popolo, semplicemente con un decreto, con una firma che non costava niente. E per di più ricevevano onori tributati alla divinità, da parte di sudditi compiacenti e interessati, adulatori di mestiere, pronti a rinunciare alla propria dignità in cambio di qualche briciola che cadeva dalla tavola dei potenti.

La “divisa” dei capi
Per rendere evidente la distinzione tra capi e sudditi ed evitare spiacevoli equivoci era necessaria una “divisa”. La preziosità dei tessuti con cui erano confezionati gli abiti dipendeva dalla ricchezza accumulata dalla classe dirigente, ma non era ritenuta sufficiente per sottolineare la superiorità nei confronti della gente comune. Era necessario stabilire fogge di vestiti speciali riservate ai diversi livelli di autorità, inventare segni convenzionali per indicare le funzioni svolte e distinguere i gradi della gerarchia. Era cosa ovvia stabilire un protocollo di atteggiamenti da tenere nell’avvicinare i capi, nel rivolgere loro la parola. Inchini, prostrazioni, baci, formule studiate con cura da usare nelle diverse circostanze in cui i comuni mortali avevano il privilegio di essere ammessi alla presenza del potente di turno.
La corte dei faraoni egiziani è forse quella che aveva il cerimoniale più ricco e complesso, o almeno è quella che conosciamo meglio grazie alle numerose rappresentazioni giunte fino a noi. L’ureo con il cobra in posizione di attacco doveva scoraggiare ogni malintenzionato nei confronti del sovrano che non doveva nemmeno essere guardato in volto. I numerosi figuranti che circondavano i re non erano soltanto una guardia del corpo ma erano una dimostrazione di potenza. Chi aveva la fortuna di appartenere alla corte si considerava un privilegiato e aveva tutto l’interesse a mantenere le distanze e sottolineare le differenze.
Tutto questo insieme di rituali costituiva una liturgia che non era considerata “laica” nel senso che diamo noi a questo termine, bensì era vista come il prolungamento dell’atteggiamento che si doveva tenere di fronte alla divinità. 

Potenti = prepotenti?
Da potenti a prepotenti era il passaggio obbligato, denunciato apertamente da Samuele nel suo manifesto antimonarchico (1 Samuele 8,10-19). Il problema della gestione del potere è affrontato in modo radicale nel libro di Ezechiele. Nel capitolo 34 troviamo affermata l’idea della scelta dei capi compiuta da Dio, il che fa pensare ad un’origine divina del potere stesso. Ma il termine usato per indicare i capi è ricavato da una professione assolutamente terrena com’è quella del pastore. È vero che questa qualifica veniva attribuita anche alle varie divinità, e infatti nello stesso capitolo Ezechiele rivendica a Dio il ruolo di pastore.
Il profeta denuncia i capi per la loro arroganza, per lo sfruttamento dei sudditi a proprio vantaggio, per la violenza del loro comportamento a danno dei più deboli. Non si tratta di desacralizzare il potere in se stesso ma di ricondurlo entro i suoi limiti naturali che sono quelli voluti da Dio, cioè il benessere di tutti.
Le pagine della Bibbia che riferiscono giudizi ugualmente severi nei confronti di chi esercita il potere per il proprio interesse sono numerosissime. Pensiamo solo al caso di Davide che ordina ad un suo suddito di commettere un omicidio per nascondere il proprio adulterio (2 Samuele cap. 11-12) o per esempio al Salmo 94. Nel libro dei Proverbi si esalta la saggezza dei re fino a dichiarare che non sbagliano o addirittura che comunicano la vita, certamente in senso metaforico ma comunque con un’espressione ardita (16,10-15; 29,2a.4a.14) pronti però a condannare i governanti empi ed esosi (29,2b.4b.12.16). Il Qoèlet, con un’espressione disincantata, esorta a non meravigliarsi di un governo che «opprime i poveri e calpesta la giustizia e il diritto» (5,7). È la prassi normale, sembra voler dire.
 Nel Nuovo Testamento troviamo una continuità con l’Antico nella valutazione dei comportamenti delle classi dirigenti a partire dalla figura del re Erode soprattutto quando si riporta l’omicidio del Battista ordinato dal re per soddisfare un proprio capriccio. Gesù non è tenero con le autorità del suo tempo. Rispetta e difende il ruolo ma denuncia il modo con cui è applicato nella realtà, basta pensare ai contrasti con la dirigenza religiosa che sfocia con la sua condanna a morte.

Il potere dà alla testa
Ma c’è un episodio non molto citato, che offre una fotografia impietosa dei disastri originati da un potere impazzito, dominato da un delirio di onnipotenza vissuta dal padre e trasmessa al figlio insieme a quelli che hanno avuto il privilegio (così pensavano!) di essere educati con lui a corte. Il padre si chiamava Salomone e il figlio Roboamo. Il Siracide condivide il giudizio tradizionale su Salomone: esprime ammirazione per alcuni aspetti del suo governo ma non nasconde la degenerazione nell’esercizio del potere fino a definirla follia (Siracide 47,12-20). Al contrario è totalmente negativa la valutazione del comportamento di Roboamo liquidato con un drastico «stoltezza del popolo e privo di senno» (47,23c).
Che Salomone avesse motivo di montarsi la testa e di credersi superiore ai comuni mortali è fuori dubbio, stando a quanto è descritto ampiamente nei racconti biblici che però accennano anche quasi a malincuore agli aspetti negativi del suo governo. Nei confronti del figlio invece, la Bibbia totalmente negativa. Anche perché l’autore del racconto segue lo schema collaudato di usare le parole attribuite all’accusato che finisce così col condannare se stesso. È il metodo seguito da Natan per giudicare Davide (2 Samuele 12,1-12), o anche da Isaia con la parabola della vigna (Isaia 5,3) e dallo stesso Gesù quando invita i suoi ascoltatori a riflettere e a giudicare il proprio comportamento.
 Nel caso di Roboamo le parole che gli sono attribuite dimostrano la sua convinzione (condivisa dai suoi amici “educati” con lui a corte) di essere superiore a tutti, compreso il padre ritenuto già il più saggio governante mai esistito. La boria del figlio del re supera ogni immaginazione: «Il mio mignolo è più grosso dei fianchi di mio padre. Ora, mio padre vi caricò di un giogo pesante, io renderò ancora più grave il vostro giogo; mio padre vi castigò con fruste, io vi castigherò con flagelli» (1 Re 12,10c-11).
Però l’autore di questa cronaca non è indulgente nemmeno con gli anziani che suggeriscono al giovane re di fingersi condiscendente verso le richieste del popolo per poterlo poi sfruttare meglio: «Se oggi ti farai servo sottomettendoti a questo popolo, se li ascolterai e se dirai loro parole buone, essi ti saranno servi per sempre» (1 Re 12,7). Alla politica brutale dei giovani è contrapposta quella subdola degli esperti. Chiamarla diplomazia non cambia la sua natura che rimane sempre quella di uno strumento perverso del potere sotto qualsiasi forma si presenti.

Chi sono gli Elohìm del Salmo 82?
Penso che abbiamo raccolto elementi sufficienti per collocare il Salmo 82 nel contesto politico, culturale e religioso in cui è nato.
Il termine Elohìm nel Salmo ha due significati diversi derivati non solo dalla persona indicata dai verbi: la terza persona singolare si riferisce a Dio (vv. 1.8) mentre la seconda e terza plurale riguardano un gruppo di uomini (vv. 2-4). Che si tratti di persone concrete è detto chiaramente quando si dichiara che moriranno come accade per tutti i loro simili (v. 7). La cultura di quei tempi, come abbiamo visto, attribuiva alle autorità le prerogative riconosciute agli dèi e i capi dei diversi popoli spesso ne approfittavano esigendo dai sudditi non solo onori non dovuti ma anche vantaggi materiali.
L’autore del Salmo immagina una riunione di questi personaggi e dà la parola a Dio (v. 1) invitandolo a giudicare il comportamento di coloro che esercitavano il potere convinti di essere diversi dai sudditi e superiori a loro (vv. 2-4).
La prima sorpresa è il cambiamento di quello che noi oggi chiamiamo “ordine del giorno”. Quella che doveva essere una riunione solenne di capi (l’avevano chiamata “assemblea divina”) si trasforma in una sessione di tribunale dove gli “onorevoli invitati” diventano gli “imputati”. Le accuse loro rivolte riguardano la gestione della giustizia a danno dei più deboli.
Il v. 5 può essere considerato il perno su cui ruota il Salmo: si credono saggi, ma sono ignoranti. Si muovono nelle tenebre, non capiscono niente della vita. Potrebbe sembrare l’arringa della difesa che cerca attenuanti. In realtà l’ignoranza della legge, nei capi diventa un’aggravante. Gesù dirà degli equivalenti del suo tempo: sono guide cieche che portano alla rovina quelli che dipendono da loro (Matteo 15,14).
A questo punto l’autore interviene con una constatazione personale mettendo quelli che pretendevano di essere al di sopra di tutti, di fronte alla realtà più sconvolgente nella sua ovvietà: moriranno come tutti i loro sudditi (vv. 6-7). Messa a conclusione del processo la frase acquista il valore di sentenza definitiva: è una condanna a morte.
A leggere il testo ebraico, si è colpiti dal richiamo anche sonoro con un altro testo dove si parla di ‘adam (uomo) a cui è promesso che sarebbe diventato come elohìm (come Dio) mentre nel Salmo agli elohìm  (giudici) è annunciato che avranno la sorte come ‘adam (come uomo); alla promessa ‘al temutùn (non morirete) corrisponde nel Salmo la condanna severa: temutùn (morirete). Si tratta del capitolo terzo di Genesi dove si presenta la provocazione del serpente alla quale l’uomo non ha saputo resistere. Viene così presentato un capovolgimento totale della situazione: l’uomo vuole diventare come Dio allettato dall’illusione di essere immortale – gli uomini che si sono illusi di essere come Dio sono condannati a subire la triste sorte dei comuni mortali.
È una satira feroce, dissacrante. In Genesi la fine della grande illusione porta la consapevolezza della propria nudità, ma permette ancora di vivere; nel Salmo si va oltre e si prospetta l’irreparabile. Non basterà la foglia di fico e nemmeno la tunica procurata da Dio a nascondere il fallimento della superbia dell’uomo, destinato a dissolversi nella corruzione del sepolcro.
L’ultimo versetto forma una perfetta inclusione con il versetto iniziale. In 1 si descrive l’inizio di un processo che vede come imputati gli stessi giudici; in 8 si invoca il Giudice supremo perché emetta la sua sentenza che va oltre gli imputati presenti e coinvolge tutti i popoli della terra con i loro governanti.

Anche l’autore era uno degli Elohìm!
Un’ultima annotazione, utile per inquadrare meglio il nostro testo. Il Salmo è attribuito ad Asaf, presentato come autore di altre dodici composizioni della stessa collezione (Salmo 50; 73-83). Anche ad una lettura veloce di questi dodici Salmi si nota una certa continuità tematica poiché ritorna il tema della giustizia di Dio , anche se espressa con formule diverse. Asaf è presentato come capo dei cantori, incarico che si dice gli sia stato conferito dallo stesso Davide (1 Cronache 16,5.7).
Vista l’importanza che veniva data al culto nel tempio e il ruolo di primo piano attribuito ai cantori, siamo autorizzati a pensare che Asaf appartenesse in qualche misura al gruppo dei capi religiosi, cioè a quelli che erano considerati Elohìm. Era dunque uno che conosceva dal di dentro il funzionamento dei centri di potere e la mentalità che guidava i comportamenti dei potenti. Dagli scritti che gli sono attribuiti risulta che doveva essere molto critico nei confronti dell’ambiente che si era creato intorno ad un’aristocrazia sempre più lontana dalla vita reale del popolo.
Questa considerazione ci riporta alla domanda iniziale: chi erano gli elohìm destinati a morire, di cui parla la Bibbia? Erano esseri alieni colonizzatori degli uomini di cui hanno finito per condividere la sorte? Oppure erano uomini come tutti che si erano montati la testa credendosi superiori agli altri? Uno di loro, Asaf, ha avuto il coraggio di uscire dal coro degli adulatori e gridare, come il bambino della favola: “il re è nudo!”.
Prendendo in prestito il titolo di un noto filmetto, snobbato dalla critica impegnata, potremmo concludere anche noi: “I capi, extra-terrestri?… poco extra e molto terrestri”.
Giovanni Boggio

Ecco il testo del Salmo nella traduzione ufficiale della Chiesa cattolica italiana
1  Salmo. Di Asaf.
    Dio presiede l’assemblea divina,
    giudica in mezzo agli dèi:

2  «Fino a quando emetterete sentenze ingiuste
    e sosterrete la parte dei malvagi?
3  Difendete il debole e l’orfano,
    al povero e al misero fate giustizia!
4  Salvate il debole e l’indigente,
    liberatelo dalla mano dei malvagi!».

5  Non capiscono, non vogliono intendere,
    camminano nelle tenebre;
    vacillano tutte le fondamenta della terra.

6  Io ho detto: «Voi siete dèi,
    siete tutti figli dell’Altissimo,
7  ma certo morirete come ogni uomo,
    cadrete come tutti i potenti».

8  Àlzati, o Dio, a giudicare la terra,
    perché a te appartengono tutte le genti!