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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

sabato 5 dicembre 2015

GUERRA AGLI SPECCHI?


GUERRA AGLI SPECCHI?

Gli avvenimenti drammatici di questi giorni (non mi riferisco solo a quanto accaduto in Europa) hanno riproposto un tema ricorrente riguardante il rapporto tra la violenza e i testi considerati sacri dalle tre religioni monoteiste, da sempre in contrasto tra di loro.

In passato le contrapposizioni erano motivate soprattutto da questioni strettamente teologiche. Oggi l’interesse si è spostato ai comportamenti degli uomini, suggeriti o imposti dai libri di riferimento delle diverse fedi. Questa nuova sensibilità ha introdotto, nel mondo che consideriamo “occidentale”, una quarta visione della vita che cerca soltanto nella ragione i principi ispiratori dell’agire umano, senza ricorrere a leggi promulgate in nome di qualche divinità.

      Nonostante le dichiarazioni in contrario, la visione “laica” della vita ha finito per trasformarsi in una specie di religione, con i suoi dogmi, i suoi libri ispiratori, i suoi codici di comportamento, i suoi riti, le sue promesse di felicità, puntualmente non realizzate.

Chi conosce la Bibbia e il Corano sa dare un nome preciso a questa religione non dichiarata: idolatria.  Nel mondo antico si esprimeva con gli stessi segni e con lo stesso vocabolario delle altre religioni; oggi ha cambiato abbigliamenti e usa un linguaggio diverso ma in realtà è sempre la stessa.

Oggi è di moda parlare del fallimento delle religioni tradizionali, ed è facile vederne i segni. Però è altrettanto evidente che la “quarta religione” non è riuscita a creare quel mondo ideale promesso dai suoi ideatori e sostenitori, nonostante la profusione di mezzi di cui dispongono.

Non sono affatto un catastrofista, non appartengo alla categoria dei sostenitori del “tanto peggio, tanto meglio”. Cerco solo di usare davvero quella ragione tanto sbandierata e altrettanto maltrattata da quelli che la strumentalizzano a proprio esclusivo vantaggio. Da qualsiasi parte si trovino, abbiano o no tessere di appartenenza, rivestano cariche onorifiche, siano ritenuti intoccabili.

Siate sinceri: state pensando che ho una buona dose di presunzione. Avete ragione, presumo di essere uno specchio. Questo oggetto così comune non ha niente di suo se non la caratteristica di riflettere la realtà. Non la crea, non la modifica, non elimina i difetti, non raddrizza le linee storte, non cancella le rughe. Non è un software di ritocco fotografico. Lascia le cose come sono, le rispetta.

 “Specchio delle mie brame…”

Ha un solo difetto: non presenta le immagini che noi vorremmo vedere. Noi continuiamo a considerarlo, come la regina della favola, “lo specchio delle nostre brame” e quando, impietoso, ci presenta il nostro vero ritratto ce la prendiamo con lui e vorremmo farlo a pezzi, perché ci dà fastidio.

È più facile e comodo eliminare l’immagine piuttosto che modificare la realtà rappresentata, soprattutto quando questa ci coinvolge direttamente. E siamo capaci di inventare tutte le scuse pur di non cambiare quello che, visto allo specchio, ci aveva indignato. Copriamo con delle maschere le immagini scomode, inseguiamo con le nuvolette pudibonde quei particolari che non si devono vedere, con il risultato di stimolare la curiosità rendendola morbosa. È il trionfo dell’ipocrisia di una società bacata.

Certamente non tutti gli specchi sono perfetti, capaci di riprodurre fedelmente la realtà. Esistono anche gli specchi deformanti che alterano le immagini e fanno vedere un mondo che non è quello che appare. Il più delle volte offrono immagini spaventose, da casa degli orrori. A volte però riescono anche a far apparire bello il mostro più disgustoso.

Morale della favola: non basta essere specchio per essere considerato affidabile.

Nel mondo moderno lo specchio della vita reale dovrebbe essere rappresentato dal giornalismo. Soprattutto le inchieste, i sondaggi di opinione, le ricostruzioni di fatti basate su documenti autentici dovrebbero fornirci un quadro fedele di quanto è accaduto. Naturalmente non si esclude una valutazione dei fatti, a patto che sia nettamente distinta dagli eventi presentati.

Ci sono pubblicazioni che hanno scelto questa dichiarazione, di per sé ovvia, come propria bandiera. Non tutti però sono sempre fedeli a questo principio e quindi si ripropone sempre la stessa domanda: lo specchio è fedele nel presentare la realtà, o invece nasconde dietro qualche nuvoletta particolari ritenuti sconvenienti o contrari a quanto si vuole dimostrare? O addirittura deforma intenzionalmente le immagini che riflette per raggiungere gli effetti desiderati?

In ogni caso lo specchio non è la realtà. Anche quando sembra deformarla può influire unicamente sull’immagine che presenta. È puerile attribuire allo specchio le cose che vediamo sulla sua superficie. Se si ritiene che siano cose riprovevoli, sono queste che vanno processate insieme ai loro autori. Lo specchio è innocente, a patto che quanto fa vedere sia davvero corrispondente a ciò che è accaduto.

Eppure a volte succede anche questo, non solo nei confronti di inchieste su avvenimenti di attualità ma anche nel modo di leggere e interpretare testi composti nei secoli passati. Si finisce così, ad esempio, per attribuire valore normativo alla semplice descrizione di comportamenti ritenuti positivi o negativi dal lettore moderno. Il racconto di un fatto viene identificato con il fatto stesso e presentato come modello da seguire o rifiutare anche se l’autore che l’ha descritto voleva solo informarci che: “è capitato così”.

Può anche accadere che l’autore voglia davvero trasmettere un comando esplicito, ma anche in questo caso si tratta sempre di qualcosa che non può essere attribuita di per sé allo strumento che lo comunica. Un esempio che può sembrare banale: chi ha scritto materialmente la stele che presenta il famoso “Codice di Hammurabi” non può essere ritenuto responsabile delle leggi che comunica. Inoltre, rappresentando con un’immagine il re babilonese che riceve le leggi dal suo dio si limita a descrivere la convinzione comune al suo tempo sull’origine divina dell’autorità rivendicata dal re e riconosciuta dai sudditi. Non afferma che effettivamente il dio abbia comunicato al legislatore quei precetti, testimonia soltanto che era quella l’idea corrente in quella cultura. Forse anche chi scriveva la pensava allo stesso modo, ma questo non modifica la qualità della sua testimonianza.

Riflettendo su queste cose mi sono chiesto: “Perché quando si parla della Bibbia ci troviamo sempre di fronte a due interpretazioni opposte, ma simili nell’impostazione del metodo di giudizio? I credenti le attribuiscono tutto il bene e il bello possibile, i non credenti la considerano l’origine di ogni nefandezza”. Mi è sorto il dubbio che qualcosa non funzioni, non nella Bibbia ma nel nostro modo di considerare questo insieme di testi antichi.

Leggendoli con atteggiamento disincantato, possibilmente senza pregiudizi, che cosa sono? Penso che non sia difficile rispondere: raccontano quello che un gruppo di persone era riuscito a ricostruire della propria storia e della propria religione. Devono essere ritenuti autorevoli se presentano fedelmente le credenze, i comportamenti, l’ambiente come era possibile conoscerli allora. In altre parole mi devo chiedere se sono uno specchio fedele della realtà che presentano e non se questa realtà rappresentata sia oggettivamente vera. Sono due piani diversi e non possono essere identificati. Un credente condividerà la fede testimoniata nella Bibbia, mentre chi non crede rifiuterà di seguire le indicazioni contenute in quei libri.  

E allora, perché si continua ad accusare la Bibbia di incitazione alla violenza, se la sua caratteristica oggettiva è quella di descrivere fedelmente i comportamenti umani in un momento preciso della storia? Senza tener conto che negli stessi scritti sono presentati altri modi di vivere assolutamente diversi. Perché dare peso soltanto a quello che piace oppure a quanto è disgustoso? Eppure si continua a ripetere:

 “La Bibbia è violenta e insegna la violenza” (???)

L’ho sentito affermare molto spesso. L’ultima volta in ordine di tempo, ieri sera (2 dicembre 2015) durante la trasmissione “La gabbia”. È stato affermato con sicurezza, come un dato acquisito, ovvio, mentre invece si cercava di spiegare che non era così per il Corano. Nessuno ha fatto notare l’asimmetria del trattamento riservato ai due testi che, almeno nella presentazione, dovrebbero essere considerati sullo stesso piano. Ma è questo l’andazzo generale di certa cultura laica.

Le conseguenze si riscontrano poi quando si sentono o si leggono i commenti della gente comune. Basta cercare su internet e si vedrà che è un’opinione largamente condivisa anche da persone che si professano religiose. Che nella Bibbia ci siano descrizioni di violenze inaudite e che si dica che sono state effettuate per ordine di Dio è un dato di fatto innegabile.

I tentativi di mascherare questa realtà con operazioni maldestre di censura su testi che si continuava a definire sacri, sono patetici e ingenui, addirittura controproducenti, anche se fatti in buona fede con l’intenzione di “salvare la Bibbia” da accuse ingiuste. Bisogna riconoscere la verità anche se scomoda e cercare di capirla e poi sforzarsi di spiegarla. Penso che leggere la Bibbia come specchio che riflette la realtà del mondo antico offrendone un’immagine fedele possa aiutare a capire il suo significato e ad apprezzarla. Ma la domanda è: quale realtà è rispecchiata dalla Bibbia?

Il modo con cui è stata letta la Bibbia in passato è sempre stato quello di chi è convinto di trovare in quelle pagine la verità assoluta isolata dai condizionamenti culturali attraverso i quali era conosciuta e trasmessa agli uomini di allora. Si trattasse di affermazioni riguardanti le scienze della natura o avvenimenti  storici o conoscenze geografiche, la Bibbia, essendo ispirata da Dio, doveva presentare le cose come erano in se stesse e non come erano percepite nelle diverse culture. Oggi ci rendiamo conto che questo presupposto è sbagliato. Basti pensare ai danni causati alla fede e alla stessa cultura laica dal cosiddetto “caso Galilei”.

Se si fosse pensato che la Bibbia esponeva semplicemente quella che era la convinzione comune di un certo periodo storico, e nel caso specifico di un determinato popolo, gli Ebrei, non si sarebbe montato un processo incredibilmente assurdo. L’equivoco è sorto dall’aver scambiato l’immagine riflessa dallo specchio con la realtà in se stessa, ignorando il fatto che invece presentava le cose come erano conosciute. Il passo verso l’accusa di falsità era inevitabile.

Paradossalmente sarebbe stata falsa la Bibbia se avesse affermato la “verità scientifica” come noi la conosciamo (cioè la terra gira attorno al sole) perché avrebbe fornito l’immagine di una realtà (la convinzione generale dell’epoca) inesistente.

Con questo non ho risposto a tutte le domande che, giustamente, continuiamo a farci cercando di comprendere qualcosa di questo mondo così complicato. Ho cercato solo di capire che cosa devo aspettarmi dalla Bibbia ponendo domande giuste in modo corretto. Non ho usato il linguaggio tecnico degli ambienti accademici, che storceranno il naso di fronte ad espressioni che sembreranno banali per gli addetti ai lavori. Sarà loro compito, se lo vorranno, tradurre in linguaggio forbito quanto mi sono sforzato di esprimere con parole semplici, come dovrebbero fare sempre i giornalisti se vogliono essere davvero lo specchio della verità.

Giovanni Boggio