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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

lunedì 21 luglio 2014

«FERMATI, O SOLE!» (2)

«FERMATI, O SOLE!» (2) Per prima cosa si deve individuare il luogo dove è ambientato il racconto. I geografi collocano Gabaon sulle montagne a nord di Gerusalemme, ad un’altitudine di circa 700 metri sul livello del mare. L’accampamento degli ebrei è situato a Galgala che si trova nella valle del Giordano a circa 300 metri sotto il livello del mare...
Tra le due località vi sono dunque circa 1000 metri di dislivello che gli uomini di Giosuè hanno superato con una marcia notturna (Giosuè 10,9) che deve essere stata piuttosto un’arrampicata faticosa non essendoci di sicuro strade agevoli. Il testo dice che Giosuè piombò sulle truppe che assediavano Gabaon gettando lo scompiglio nell’accampamento, sorpreso ancora nel sonno. Naturalmente il testo attribuisce lo scompiglio all’intervento del Signore e non si sofferma sui particolari facilmente immaginabili. Anche in questo caso la strategia adottata è quella della sorpresa. Era un dogma accettato da tutti, che di notte non si combatte, mentre invece… 
Destati bruscamente dal teru’a lanciato dagli uomini di Giosuè (non c’è nel testo, ma era normale che ci fosse), senza capire ciò che sta succedendo, completamente disarmati, senza vestiti e ancora intontiti dal risveglio inconsueto i soldati cercano solo di mettersi in salvo da quel nemico invisibile che lo spavento e le tenebre ingrandiscono a dismisura. Abbandonano corazze, scudi e armi in un fuggi fuggi generale che segna la sconfitta degli assedianti e la vittoria di Giosuè. Infatti è quello il momento decisivo, “quando il Signore mise gli Amorrei nelle mani degli Israeliti” (10,12). Il racconto prosegue descrivendo quanto avvenne durante la fuga verso la pianura che porta al mare, ad occidente di Gabaon. Sui fuggitivi assolutamente indifesi, si scatenò una furiosa tempesta di grandine che li seguiva nella discesa senza possibilità di scampo. Infatti gli Israeliti li inseguivano uccidendo con le spade tutti quelli che si fermavano: un’autentica strage favorita da un evento atmosferico che noi avremmo definito “provvidenziale” secondo la nostra terminologia e che secondo la mentalità e l’uso degli antichi viene attribuito in modo esplicito all’intervento diretto di Dio: “Il Signore lanciò dal cielo su di essi grosse pietre” (Giosuè 10,11).

La preghiera di Giosuè 
L’autore del racconto collega questo aiuto insperato all’invocazione di Giosuè che chiede al sole di nascondersi dietro le nubi per rendere possibile agli Israeliti, già sfiniti per la scalata notturna, di completare la vittoria sui nemici. Dobbiamo notare che la preghiera è ambientata “quando il Signore mise gli Amorrei nelle mani degli Israeliti” e cioè al mattino quando Giosuè è già all’inseguimento nella discesa verso il mare (ad occidente!) e quindi si trova con Gabaon alle spalle (e cioè ad oriente!). Infatti chiede al sole di fermarsi “in Gabaon” indicando così il momento in cui il sole stava sorgendo con le conseguenze che abbiamo illustrato. Rimane ancora da capire perché l’invocazione di Giosuè si trovi alla fine del racconto che si conclude con il v. 15. Questa collocazione è stata determinante nell’interpretazione comune di un prolungamento del giorno. Ma anche in questo caso il testo afferma un’altra cosa che diventa chiara soltanto se si tiene conto della struttura letteraria del racconto. 

La struttura letteraria del racconto
Con un po’ di pazienza, ritorniamo all’inizio del racconto, perché dobbiamo renderci familiare il modo di raccontare del nostro autore. Il v. 7 dice che “Giosuè partì da Galgala” e nel v. 15 leggiamo che “Giosuè ritornò all’accampamento di Galgala”. È evidente l’intenzione di dirci che l’episodio che interessa è racchiuso tra questi due momenti: partenza e ritorno da vincitore. Nel v. 8 è riportata la promessa fatta dal Signore di “mettere in potere” di Giosuè i nemici. I versetti 9-10 presentano la realizzazione della promessa attribuita a Dio che agisce attraverso la sorpresa dell’attacco all’alba, l’inseguimento dei fuggitivi lungo la discesa verso il mare durante la quale si nomina la località di Azeka, fino alla conclusione della battaglia nella tappa definitiva di Makkeda. 
Il racconto è completo: gli israeliti potrebbero ritornare al loro accampamento di Galgala come detto al v. 15. E invece no, il nostro autore ritorna indietro per spiegarci che cosa è accaduto durante l’inseguimento e attribuisce la vittoria strepitosa e impensabile ad un ulteriore intervento di Dio che manda sui nemici una grandinata micidiale (v. 11). È la seconda sorpresa che, aggiunta alla prima (il risveglio improvviso “sotto attacco”) è stata determinante per la vittoria. Il narratore ci tiene ad informarci che la grandinata ha avuto una durata limitata, “fino ad Azeka” (ecco perché l’ha ricordata prima!), ma sufficiente per mettere i nemici in balìa degli uomini di Giosuè che hanno concluso la strage nei chilometri che li separavano da Makkeda dove si era conclusa la battaglia verso sera, come era normale che accadesse. È evidente che il versetto 11 non racconta ciò che è avvenuto dopo quanto narrato in quelli precedenti ma si inserisce in quelli per indicarci la modalità eccezionale dell’accaduto. È lo stesso fatto, presentato da un punto di vista diverso, non un qualcosa da aggiungere al racconto precedente. 
Il versetto 12 aggiunge ancora una spiegazione: quanto è accaduto è stato determinato dalla preghiera che Giosuè ha rivolto al Signore. L’attenzione del lettore è indirizzata non ai particolari della battaglia ma al fatto che “il Signore aveva ascoltato la voce di un uomo e combatteva per Israele” (v. 14). Il v. 13 dimostra che l’episodio era entrato nella leggenda epica popolare che se ne era impossessato trasformandolo nel testo di un canto che si trovava in una raccolta di cui è riportato anche il titolo. Come si vede, il racconto è inserito in un contesto narrativo più ampio che comprende la giustificazione dell’alleanza con i gabaoniti (9,1-10,5) e la conclusione che va ben oltre l’episodio centrale (10,16-43). Da notare che il ritorno a Galgala è riferito due volte (10,15 e 10,43). Inoltre, l’introduzione (9,1-10,5) è redatta in stile narrativo “libero”, mentre la conclusione segue uno schema ripetitivo piuttosto rigido. 
Ci siamo dilungati in un’analisi attenta alle caratteristiche letterarie del nostro testo tanto discusso ma partendo da punti di vista molto diversi. Mi auguro che a nessun archeologo venga in mente di negare la storicità del nostro racconto per il fatto che non ha trovato tracce della grandine! A meno che non voglia vederle nella vallata che scende da Gabaon verso il mare dove si rimane impressionati da una quantità incredibile di pietre di varie dimensioni disseminate sulla superficie dei campi. Potrebbero essere un elemento per suggerire un’origine eziologica del nostro racconto! Il racconto che forma l’introduzione meriterebbe una lettura attenta perché presenta un quadro delizioso per l’ingenua furbizia dei gabaoniti che fa da contrappunto a quella vantata dagli israeliti. Un tema affascinante presentato in una forma letteraria che, anche in questo caso, potrebbe fornire senza molte modifiche il copione di un film di avventure. 
Forse qualcuno si sarà meravigliato, (spero non si sia annoiato), perché siamo ritornati più volte sullo stesso testo studiandolo da diversi punti di vista. È stata una scelta voluta che va contro l’abitudine pessima che ci è inculcata dalla società in cui viviamo che ci spinge a voler vedere subito “come va a finire” con una lettura superficiale dei testi. È anche vero che molti testi contemporanei offrono poco materiale degno di approfondimento e non meritano altra attenzione se non quella riservata all’usa e getta. Ma la Bibbia è un’altra cosa. Purtroppo le riserviamo lo stesso trattamento che giustamente dedichiamo ad altre letture. Invece, anche indipendentemente dal fatto che i credenti la considerano parola di Dio, la Bibbia è una raccolta di testi che sono frutto di lunghe riflessioni sui grandi interrogativi dell’esistenza umana. Non si possono trattare come un articolo che parla di sport o di un concerto rock o che presenta il gossip sui personaggi dello spettacolo. La Bibbia stessa ci dice che deve essere “ruminata” (Salmo 1,1) cioè resa assimilabile in tutte le sue componenti, sfruttata in tutte le sue potenzialità espressive. Una lettura affrettata e superficiale ci lascerà sempre insoddisfatti e ci farà perdere la stima e l’amore per una raccolta di libri che giustamente sta in cima alla classifica di quelli che sono proclamati patrimoni dell’umanità. Mi riprometto di continuare a sviscerare altri testi biblici con lo stesso impegno che mi auguro verrà condiviso da qualcuno almeno dei lettori.
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