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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

giovedì 17 luglio 2014

«FERMATI, O SOLE!» (1)

«FERMATI, O SOLE!» (1) Forse è l’esempio più conosciuto, anche per le conseguenze drammatiche non ancora sopite, di come un testo biblico letto e interpretato a partire da pregiudizi consolidati possa portare a conclusioni aberranti. Il “caso Galileo” è troppo noto. Nei commenti che ne sono seguiti si è messo in luce il contrasto tra quanto “affermava la Bibbia” e quanto dimostrava la scienza...
Le discussioni avvenivano sullo stesso piano, come se la Bibbia facesse affermazioni scientifiche smentite dall’osservazione oggettiva dei fatti. Le tesi a giustificazione della Bibbia movevano sempre dal presupposto che il cosiddetto sistema Tolemaico era patrimonio comune a tutto il mondo antico e quindi condizionava il modo di rappresentare l’universo anche nella cultura ebraica. In pratica, si accettava l’ipotesi che la Bibbia potesse sbagliare nel descrivere il mondo fisico, ma si sosteneva la sua verità quando offriva insegnamenti morali. Non si pensava nemmeno che la Bibbia volesse dire altro da quello che avevano in mente i suoi lettori. In altre parole, non si cercava affatto di capire il linguaggio usato dagli autori per comunicare i loro messaggi. Oggi pensiamo che l’aspetto letterario sia il primo da tenere presente e solo partendo da quello si possa valutare il significato da dare al testo. Sottoponendo un testo ad un’analisi letteraria non è sufficiente conoscere il significato delle singole parole ma è necessario tenere conto del contesto immediato e remoto, cercare di scoprire la struttura narrativa soggiacente, confrontare con altre narrazioni simili, accettare le provocazioni del testo senza imporgli idee anacronistiche. Non è una ricerca semplice, ma è l’unica possibile per avvicinarsi all’intento dell’autore e comprenderne il messaggio. Nel caso del testo che stiamo analizzando è necessaria anche una conoscenza dell’orografia del territorio in cui è ambientato il racconto nonché della percezione dei fenomeni naturali in quel determinato ambiente. Non è poi da trascurare l’intento religioso attribuito al protagonista dell’evento e condiviso da chi lo racconta. Come si vede non dovrebbero entrare nella comprensione del racconto le conoscenze scientifiche del passato, a meno che non entrino direttamente nelle affermazioni attribuite ai personaggi e condivise da chi descrive quanto è avvenuto. Nell’episodio che stiamo studiando penso che non dobbiamo lasciarci condizionare dal sottofondo culturale ben noto riguardo alla costituzione del cosmo. Il sistema tolemaico sembra non aver influito sul racconto, anche se formava la base indiscussa di un’opinione comune. Questa precisazione è importante per non continuare ad affermare che l’unico senso possibile della preghiera fatta da Giosuè sia quello di chiedere l’arresto del movimento del sole. Forse è utile incominciare a “scavare” nei dizionari alla ricerca proprio del verbo incriminato che sintetizza tutto il racconto: “Fèrmati o sole! E il sole si fermò”. È difficile resistere alla suggestione di attribuire al verbo il senso che pare più ovvio e che sarebbe richiesto dalla convinzione degli antichi di un movimento del sole attorno alla terra. A partire da questo significato tutto il racconto è stato letto in modo coerente (ma sbagliato!) come un prolungamento del giorno per permettere agli ebrei di portare a compimento la strage dei nemici. Si sono scomodati gli astronomi, i geologi, i meteorologi e non so quanti altri scienziati per trovare una spiegazione scientifica che desse ragione al testo biblico o che lo smentisse. Si è parlato di blocco dell’asse terrestre (che contraccolpo!), di una pioggia di meteoriti che riflettevano i raggi del sole, si è fatto ricorso alle aurore boreali, si sono avanzate le ipotesi più strane perché non si è voluto leggere il testo che invece si presenta con una semplicità e linearità che rasenta addirittura il banale. E questo a chiare lettere, non in base a ricostruzioni ipotetiche e cervellotiche. Il verbo in questione, tradotto comunemente con “fèrmati”, in ebraico è damam. I vocabolari danno come significato fondamentale “tacere, fare silenzio” per arrivare al senso derivato di “smettere di fare qualcosa” che si sta facendo. Se l’azione che deve essere interrotta indica un movimento, il verbo può significare anche “fermarsi”, “rimanere immobile” ma questo non è il primo significato che viene in mente quando si trova il verbo damam. Ricordo l’invito che ci rivolgeva l’insegnante di ebraico quando entrava in classe mentre si chiacchierava, dicendoci “dommu!” “Fate silenzio!”. Conosciamo tutti la frase che ripetono i giornalisti della TV al termine dei loro servizi: “Mi fermo qui”. Nessuno di noi pensa che si trattengano negli studi televisivi fino al giorno dopo. Anche solo avanzare questa ipotesi sembra una banalità, tanto è ovvio il senso della frase. Dunque la frase pronunciata da Giosuè esprime semplicemente il desiderio che il sole “smetta di fare ciò che sta facendo”. Nemmeno ai più convinti sostenitori della teoria tolemaica doveva venire in mente che l’azione principale del sole fosse il movimento. Ma qui ci troviamo di fronte ad un’altra trappola culturale. Noi associamo spontaneamente l’azione del sole alla luce. Ma era questo il primo effetto prodotto dal sole come era percepito dagli abitanti delle montagne di Israele? Quando spunta il sole c’è già la luce da un bel po’ di tempo, ma la temperatura (lo afferma anche la nostra scienza) ha raggiunto il livello più basso. I primi raggi del sole provocano una sensazione di calore che aumenta fino a raggiungere il massimo a mezzogiorno, quando la temperatura diventa insopportabile. Il Salmo 19 unisce il movimento del sole agli effetti che produce sintetizzati nel calore a cui nessuno sfugge: “Egli sorge d un estremo del cielo e la sua corsa raggiunge l’altro estremo: nulla si sottrae al suo calore” (19,7). In quelle condizioni sarebbe stato impossibile combattere per gli uomini di Giosuè che avevano nelle gambe un’arrampicata notturna massacrante. Non era certamente quello il desiderio espresso nell’invocazione del condottiero, che non poteva chiedere per i suoi uomini uno straordinario di altre ventiquattro ore consecutive nella calura soffocante del giorno! Come si vede, è una questione di buon senso, che aveva chi ha scritto questo racconto ma che è mancato a intere generazioni che l’hanno letto, fino ad oggi. La frase deve riferirsi all’attività del sole come fonte di calore, cioè deve esprimere il desiderio che il sole “cessi di scaldare”, cosa che avviene regolarmente anche ai nostri giorni, quando il sole è coperto dalle nubi. In questo modo gli assalitori avrebbero potuto continuare a combattere senza essersi disidratati. Lavoro di fantasia? No, semplicemente leggo quanto è scritto nel testo che, poco prima, descrive una terribile grandinata dagli effetti devastanti per i fuggitivi inseguiti dagli ebrei. Anche al giorno d’oggi la grandine presuppone un cielo nuvoloso che corrisponde perfettamente alla situazione atmosferica auspicata da Giosuè. Però il racconto presenta una grandinata “intelligente”, mirata a colpire soltanto i nemici e lasciando incolumi gli ebrei. Chi si è trovato coinvolto in qualche grandinata sa benissimo che i danni causati dal fenomeno sono limitati ad una fascia più o meno larga entro la quale tutto può essere distrutto al passare della precipitazione. Già, perché la grandine si muove e chi corre nella sua stessa direzione se la trova sempre sulla testa, mentre chi gli sta dietro può anche non venirne nemmeno sfiorato. Si tratta allora di un banale temporale estivo? Dove finisce l’eccezionalità dell’avvenimento che certamente l’autore vuole evidenziare? È scritto anche questo nel testo. La cosa straordinaria, è scritto, consiste nel fatto che “il Signore ha ascoltato la preghiera di un uomo” combattendo per Israele. È questo che rende grande e memorabile quel giorno. I particolari descrittivi indicano solo gli strumenti di cui Dio si è servito per dare la vittoria al suo popolo. Il fatto era entrato nella leggenda epica che lo aveva ricordato in una canzone popolare contenuta in una raccolta di cui è riportato il titolo: “Il libro del giusto”. È vero che già la tradizione antica, testimoniata dal libro del Siracide (46,4), aveva interpretato l’eccezionalità dell’evento legandola allo scorrere del tempo cronologico e non al tempo meteorologico: “Al suo comando non si arrestò forse il sole e un giorno divenne lungo come due?”. Eppure nello stesso libro per descrivere il sole lo si considera soltanto come fonte di calore: “A mezzogiorno dissecca la terra, e di fronte al suo calore chi può resistere? Si soffia nella fornace per ottenere calore, il sole brucia i monti tre volte tanto, emettendo vampe di fuoco”. Evidentemente era già prevalso l’aspetto più spettacolare e insolito, che poteva anche essere suggerito dal testo, su quello che poteva sembrare piuttosto banale di un semplice temporale estivo. Purtroppo è stata questa l’interpretazione diventata comune nei secoli successivi con le conseguenze disastrose che conosciamo e di cui portiamo ancora le conseguenze nell’affermata incompatibilità tra Bibbia (o fede in generale) e scienza. Abbiamo cercato di risolvere i problemi di tipo lessicale. Rimangono ora da affrontare gli altri problemi di carattere orografico e narrativo, sempre con assoluto rispetto di quanto è scritto nel testo. Si possono verificare gli effetti devastanti di una grandinata "dei nostri giorni" che ha colpito alcuni bagnanti in Russia con lo stesso abbigliamento dei nemici inseguiti da Giosuè. In questo caso però nessuno aveva pregato... grandinata devastante