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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

giovedì 19 maggio 2011

La solidarietà nella Bibbia

Gli ultimi attentati terroristici forse hanno fatto sorgere qualche domanda inquietante: perché tante vittime innocenti? Che c’entrano gli uccisi di Madrid con il governo spagnolo? Tanto meno, che c’entrano con gli Stati Uniti e con il loro presidente? E le vittime della guerra in Iraq erano tutte schierate dalla parte del dittatore imprigionato?

Il coinvolgimento di tante persone senza responsabilità nelle decisioni che si vogliono combattere con gli attentati o con le guerre, ha sempre creato problemi seri che riguardano la libertà umana, la responsabilità individuale e, in ultima analisi, la giustizia di Dio. Perché Dio permette che migliaia di innocenti soffrano per decisioni prese da altri? Perché molti muoiono senza alcun motivo che si possa addebitare a loro? Ha senso tutto ciò?

Il vangelo presenta la stessa domanda, anche se riferita a situazioni diverse, rivolta a Gesù per un massacro di Ebrei compiuto dai Romani: perché erano stati uccisi proprio quelli e non altri che forse erano gli ispiratori della sommossa? Gesù risponde con un’altra domanda, (metodo tipicamente ebraico di rispondere!) citando un fatto di cronaca: il crollo di una torre fatiscente che aveva causato diciotto morti (Lc 13,4).

Gesù esclude una responsabilità diretta delle vittime, ma riconosce il principio di solidarietà che percorre tutta la Bibbia. La vita stessa lo applica su larga scala in ogni sua manifestazione e la storia particolare del popolo ebraico ne era una dimostrazione continua.

L’esperienza delle carovane
La tradizione collegava l’origine del popolo di Dio all’esperienza nomade di Abramo e dei suoi discendenti, rinnovata durante gli anni trascorsi nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto. Il ricordo del deserto è sempre stato presente nella cultura ebraica e l’ha condizionata in modo notevole. Ebbene, l’esperienza della carovana esalta la solidarietà tra tutti i suoi componenti. La sorte dei singoli è legata alle scelte compiute dal capo carovana, dalla sua esperienza e conoscenza delle piste, dalle sue capacità di guida. Il destino dei singoli non dipende dalle capacità personali ma dall’appartenenza a “quel gruppo” piuttosto che ad un altro. Adulti, vecchi o bambini sono tutti coinvolti nella stessa avventura che può avere un lieto fine anche senza meriti personali o un esito drammatico senza una colpa attribuibile al singolo.

La stessa cosa capitava nella vita quotidiana all’interno delle tribù o delle stesse famiglie. In caso di guerra, anche quelli che per qualsiasi motivo erano rimasti negli accampamenti si dividevano il bottino tolto ai nemici da chi aveva combattuto, oppure venivano depredati e fatti prigionieri se i combattenti della propria tribù erano stati sconfitti. Non contava la partecipazione diretta né alla vittoria né alla sconfitta. L’elemento determinante era un altro: l’appartenenza al gruppo.

Anche la vita delle famiglie era retta dallo stesso principio. Il capo famiglia decideva con le sue scelte il destino di tutti i membri del suo gruppo. Una scelta intelligente o fortunata portava un vantaggio per tutti, una scelta sciagurata gettava tutti nella miseria.

Dalla vita fisica a quella religiosa
Il principio di solidarietà nel bene e nel male è passato inevitabilmente anche al rapporto tra il popolo e Dio. La sorte del singolo individuo si confondeva con quella del popolo di appartenenza. L’alleanza stipulata da Mosè sul monte Sinai e codificata nei Dieci Comandamenti coinvolgeva il popolo nel suo insieme. Certamente l’osservanza dei Comandamenti era un fatto individuale, ma veniva valutata globalmente. La fedeltà o meno agli impegni dell’alleanza aveva una valenza collettiva che prevaleva su quella individuale.

Ad un certo punto della storia di Israele questo principio incominciò a creare seri problemi a proposito della giustizia di Dio che non sembrava tenere presente la diversità di comportamento degli uomini, trattando giusti e malvagi nello stesso modo. Alcuni avevano inventato un modo di dire per esprimere la ribellione a quel principio: “I nostri padri hanno mangiato l’uva acerba e noi, che siamo i loro figli, abbiamo i denti allegati” (Ger 31,29), cioè i responsabili della situazione drammatica in cui ci troviamo sono altri, e noi, che siamo innocenti, ne portiamo le conseguenze.

Il profeta Ezechiele cerca di rispondere a questa difficoltà, tanto simile alle nostre, distinguendo tra una responsabilità di fronte a Dio e una “responsabilità” di fronte alla storia. Della prima ognuno risponderà direttamente a Dio senza che il suo giudizio venga condizionato dal comportamento degli altri. La seconda, invece, sembra dire che dipende dalla stessa condizione umana: è un dato di fatto in cui giocano troppi fattori umani di cui non si può attribuire la causa a Dio.

Per concludere, notiamo che questo principio è alla base delle affermazioni a proposito del nostro rapporto con il peccato del primo uomo: la scelta sbagliata del rappresentante dell’umanità ha condizionato pesantemente le condizioni di vita dei suoi discendenti. Ma ricordiamo che Paolo applica lo stesso principio alla solidarietà che, attraverso il battesimo, ci lega a Cristo per ottenere la salvezza. Siamo peccatori perché siamo discendenti da Adamo, siamo salvati perché formiamo un corpo solo con Cristo nel battesimo.

In questo modo abbiamo spiegato il rapporto con Dio. Quello con le realtà umane rimane ancora con la risposta data da Ezechiele e ripetuta da Gesù: le tragedie che colpiscono gli innocenti dipendono (almeno in gran parte) dalle scelte sbagliate degli uomini. Bisogna correggere queste e non pretendere che Dio intervenga continuamente a raddrizzare le nostre linee storte.

Giovanni Boggio (Biblista)




Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi (Esodo 20, 5-6)

Davide, vedendo l'angelo che colpiva il popolo, disse al Signore: «Io ho peccato; io ho agito da iniquo; ma queste pecore che hanno fatto? La tua mano venga contro di me e contro la casa di mio padre!» (2Samuele cap. 24,17).

Colui che ha peccato e non altri deve morire; il figlio non sconta l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio. Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità (Ezechiele 18,20).

Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio (Giovanni 9,1-3)


La Bibbia e la Storia: Nuovo Testamento

Per collocare nella giusta cornice gli avvenimenti raccontati nella Bibbia non basta riferirsi solo alla storia. Spesso anche la geografia fisica e antropica può aiutare a comprendere meglio certe situazioni umane del passato nelle quali i protagonisti hanno saputo scorgere gli interventi di Dio nella loro storia.

Noi siamo soliti indicare la terra abitata dal popolo ebraico con il nome di Palestina. La Bibbia invece la chiama con altri nomi, come “il paese di Canaan” quando si riferisce alla regione abitata dalle diverse popolazioni precedenti e contemporanee all’arrivo degli Ebrei, oppure “Terra promessa” quando si vuole sottolineare l’aspetto religioso che viene maggiormente evidenziato con l’indicazione di “Terra santa”.

Il nome di Palestina non viene dato nella Bibbia se non a quella parte della regione, indicata come “il paese dei Filistei” (in ebraico: Pelishtim) e che comprendeva la fascia costiera del Mediterraneo. I Filistei sono ben noti nei racconti biblici che si riferiscono al tempo di Samuele e di Davide. Erano una popolazione che aveva occupato quelle terre provenendo dalle isole dell’Egeo. Infatti erano indicati anche come “popoli del mare” e si erano insediati lungo la costa pianeggiante.

Anche se nei racconti biblici i Filistei sono ricordati moltissime volte, fino dall’epoca dei Patriarchi, tuttavia la loro invasione deve essere avvenuta verso il 1200 a.C. e i riferimenti alla loro presenza in epoca precedente devono quindi essere considerati degli anacronismi. Come abbiamo ricordato nella puntata precedente, in quel periodo la regione di Canaan subì una duplice invasione, dal mare (i Filistei) e dalla parte del Giordano (gli Ebrei).

Verso il 450 a.C. lo storico greco Erodoto indicava la regione costiera del Mediterraneo come la terra abitata dai “Palestini”. Il nome ricalca il modo con cui la Bibbia chiama i Filistei, che evidentemente non erano scomparsi dalla scena del Vicino Oriente, anche se, come le altre popolazioni locali, dipendevano politicamente dai vari dominatori che si erano impadroniti successivamente di quella regione.

Quando nel 63 a.C. Pompeo, dopo aver conquistato la Siria occupò anche la Fenicia, la valle del Giordano, la zona montagnosa della Samaria e della Giudea, diede a tutta la regione il nome che prima ne indicava solo una parte e la chiamò “Palestina”. La nuova denominazione ebbe fortuna e divenne tipica per quella provincia dell’Impero romano, governata con una specie di “Statuto speciale”.

Infatti il vero governo era esercitato dai romani che però lasciavano una parvenza di sovranità agli Ebrei attraverso il riconoscimento di un re di facciata, una specie di “re travicello”. Erano tali i re Erode di cui parlano i Vangeli.

La nascita e la vita di Gesù (4/6 a.C. – 30 d.C.)
Non possiamo affrontare nei particolari il problema dell’anno preciso in cui si può collocare la nascita di Gesù. Sappiamo che ci fu un errore di calcolo degli anni da parte di un monaco, Dionigi, quando si trattò di stabilire un calendario comune. Ma in questa sintesi storico-geografica ci interessa delineare l’ambiente generale senza scendere ai dettagli.

L’insofferenza degli Ebrei verso la dominazione romana, può spiegare molti particolari della vita di Gesù e soprattutto della sua morte. L’attesa di un liberatore dal giogo di Roma può aver creato illusioni su chi si era dimostrato capace di radunare le folle e che invece si era poi rifiutato di assumere un ruolo di leader politico rimanendo in ambito strettamente religioso.

Gli inizi della Chiesa (30 – 67 d.C.)
Tutto si svolge in un periodo molto limitato di anni. A differenza dell’Antico Testamento, le vicende a cui fanno riferimento i libri che costituiscono la Bibbia cristiana si esauriscono in pochi decenni e sono incentrate sulla persona di Gesù e sulle conseguenze della sua morte e risurrezione.

Gli Atti degli Apostoli raccontano alcune vicende legate all’espansione della Chiesa che da Gerusalemme sposta il suo centro a Roma grazie alla predicazione di Pietro e di Paolo. Interessanti in questo periodo i racconti di tre viaggi compiuti da Paolo per predicare la nuova fede. La tradizione antica ricorda la morte di Pietro e Paolo a Roma nel 67.
In questi anni Paolo tiene i contatti con alcune comunità cristiane attraverso delle lettere, di carattere diverso, nelle quali espone gli insegnamenti di Gesù, corregge interpretazioni sbagliate, esorta a vivere con coerenza nella fede in Gesù. Anche altri scritti, attribuiti all’uno o all’altro apostolo, offrono riflessioni e commenti sulla vita dei primi cristiani e sui problemi che devono affrontare. Verso la fine del primo secolo della nostra era, la Chiesa cristiana ha raggiunto una sua organizzazione abbastanza solida e non aggiunge più nulla ai testi fondamentali della fede racchiusi nel Nuovo Testamento.

La distruzione di Gerusalemme (70 d.C.)
Un fatto importantissimo per il popolo ebraico e anche per la Chiesa cristiana è la distruzione di Gerusalemme e il massacro di centinaia di migliaia di Ebrei da parte dell’esercito romano dell’imperatore Tito. Da quel momento inizia la “diaspora” cioè la dispersione degli Ebrei in regioni diverse dalla loro patria. Ciò non significa che tutti gli Ebrei furono cacciati dalla Palestina. Molti vi rimasero per tutti i secoli seguenti, ma sempre in condizione di dipendenza politica ed economica da governi stranieri. Fino al 1948 con le drammatiche vicende che sono seguite.

Giovanni Boggio (Biblista)




TESTIMONIANZE

«Solo da questa parte infatti si offrono vie d’accesso all’Egitto, poiché dalla Fenicia fino ai confini della città di Caditi il territorio appartiene  ai Siri detti Palestini» (Erodoto, Le storie, 3,5; traduzione di Augusta Izzo D’Accinni, Erodoto e Tucidide, Sansoni, Firenze 1967, p. 132).

«[1]Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, [2]come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, [3]così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, [4]perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
[5]Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria…» (Luca 1,1-5).
«[1]In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. [2]Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio» (Luca 2,1-2).



La Bibbia e la Storia

Abbiamo già visto, negli interventi precedenti, come la Bibbia contenga molti racconti di avvenimenti legati alla storia, anche se il modo di narrare questi fatti è molto diverso da quello che usiamo noi. La differenza più notevole può essere indicata nel fatto che noi ci preoccupiamo di collegare gli eventi tra di loro con rapporti di causa ed effetto dovuti all’iniziativa degli uomini (e ci fermiamo lì), mentre invece gli autori della Bibbia vogliono far capire che la storia umana è guidata dal loro Dio dal quale dipende totalmente.

Questa prospettiva diversa condiziona in modo evidente il giudizio sugli avvenimenti e il modo di riferirli. Ma dalla diversità della forma narrativa non si può ricavare nulla sulla aderenza o meno dei fatti raccontati con la realtà storica. Comunque è evidente che gli autori della Bibbia avevano un’idea abbastanza precisa sulla successione degli avvenimenti che riguardavano il loro popolo e il rapporto con gli altri. Che poi si mettessero al centro della storia e facessero ruotare tutti gli altri attorno a sé è abbastanza normale. Lo facevano tutti gli scrittori antichi, a qualsiasi popolo appartenessero. Poco importa che nella storia raccontata dalle cronache egiziane, assire, babilonesi o persiane al popolo di Israele siano riservati solo degli accenni occasionali e marginali. Sarebbe strano che non fosse così.

Nella realtà Israele era un piccolo popolo e non una grande potenza, abitava un territorio molto limitato e piuttosto difficile da coltivare (anche la “terra dove scorre latte e miele” va intesa in prospettiva religiosa, non geografica!), considerato importante (dal punto di vista puramente umano) solo per la sua posizione geografica poiché costituiva l’unico corridoio di passaggio per le carovane e gli eserciti che dall’Egitto andavano in Mesopotamia e viceversa.

Tuttavia la Bibbia narra una sua storia che si inserisce in quella degli altri popoli con i quali ha avuto molteplici contatti di alleanze o di ostilità. Per noi è utile conoscere almeno nelle grandi linee come si è sviluppata questa serie di vicende umane nelle quali la nostra fede ci dice che si è manifestato un intervento straordinario di Dio che coinvolge anche noi.

Le origini del popolo ebraico: i Patriarchi (1850-1700 a.C.)
Sono chiamati “Patriarchi” Abramo, Isacco e Giacobbe (soprannominato Israele). Le vicende delle loro famiglie sono comunemente ambientate tra la Mesopotamia e l’Egitto in un periodo che va dal 1850 a.C. fino al 1700 a.C. Siamo lontanissimi dalle origini del mondo e dell’umanità narrate nel libro della Genesi. Questa semplice considerazione ci aiuta a capire meglio le descrizioni sulla creazione del mondo, nelle quali gli uomini parlano già “ebraico”, lingua piuttosto recente nella storia dell’umanità!

Permanenza in Egitto e fuga (Esodo: 1200 a.C.)
La Bibbia non ci dice nulla su un periodo molto lungo durante il quale gli Ebrei vivono in Egitto. Presenta solo gli avvenimenti degli ultimi decenni della loro permanenza, caratterizzata da lavori forzati imposti da un faraone. Mosè si mette alla guida degli Ebrei e li accompagna verso la regione di Canaan, la “Terra promessa” da Dio ad Abramo ed abitata da molte popolazioni di etnìe diverse.

Occupazione della terra promessa (1200-1050 a.C.)
Sotto la guida di Giosuè gli Ebrei, che provengono da Est, incominciano a stabilirsi, divisi per tribù, tra le popolazioni locali. A volte sono accolti bene, spesso sono respinti e devono combattere con sorti alterne. È il periodo cosiddetto dei Giudici, capi militari e amministrativi per periodi limitati. Nello stesso periodo si verifica un’invasione da Ovest: sono i Popoli del mare che provengono dalle isole egee e che conosciamo con il nome di Filistei. Questi occupano la zona costiera (combattendo per conquistare il territorio), mentre gli Ebrei si stabiliscono sulla zona montagnosa.

Periodo della monarchia (1050-586 a.C.)
Per contrastare il predominio dei Filistei, gli Ebrei (che vivevano ancora divisi in tribù autonome) scelgono un governo monarchico unitario. Primo re è Saul. Gli succede Davide e quindi suo figlio Salomone. Alla morte di questo il regno si divide. Al nord si chiama Regno di Israele e al sud Regno di Giuda. I due regni hanno vita indipendente e a volte si combattono tra di loro. Nel 722 il Regno di Israele è conquistato dagli Assiri e diventa una provincia del grande impero. Sopravvive il Regno di Giuda che ha sempre come capitale Gerusalemme e dove i re appartengono (per via diretta o indiretta) alla dinastia iniziata da Davide. Intanto sulla scena internazionale all’Assiria è subentrato l’impero Neo-Babilonese il cui imperatore Nabucodonosor conquista Gerusalemme una prima volta nel 597 e poi nel 586 quando la distrugge completamente. Altri Ebrei vengono deportati a Babilonia. Inizia nel 597 il grande esilio babilonese, che avrà termine con l’Editto di Ciro nel 539 a.C.

Esilio a Babilonia (597-539 a.C.)
L’esilio poteva causare la fine del popolo ebraico. Ciò non avvenne per una serie di cause imprevedibili che hanno permesso agli Ebrei di interpretarle come un intervento prodigioso del Dio nazionale a favore del suo popolo. L’esilio diventa così un periodo fecondo di riflessione nel quale gli Ebrei riscoprono la fede più genuina e si confermano nel monoteismo assoluto. Artefici di queste riflessioni sono due profeti vissuti in esilio: Ezechiele e un profeta anonimo i cui interventi fanno parte del libro di Isaia.

Ritorno dall’esilio e ricostruzione (539-400 a.C.)
Ritornati dall’esilio gli Ebrei devono affrontare la difficile ricostruzione. Non si trattava solo dei muri ma soprattutto della convivenza con le popolazioni che avevano occupato il territorio abbandonato dagli esuli e della ricostituzione della vita religiosa, sociale e politica. Le regioni della Giudea e della Samaria (ex regno di Israele) erano diventate una provincia dell’impero persiano. Da questo momento gli Ebrei non avrebbero più goduto l’indipendenza politica, ma sarebbero passati dall’impero persiano a quello macedone sotto Alessandro Magno, a quello dei diversi re succeduti ad Alessandro e infine al dominio di Roma.

Dal punto di vista religioso questi decenni furono molto fecondi. Le fede ritrovata e rinforzata dagli avvenimenti storici venne garantita attraverso la raccolta di tutte le tradizioni antiche, orali o scritte. Si venne costituendo un insieme di libri che avevano il compito di affidare alle generazioni future un patrimonio religioso sicuro, garantito dalla scrittura ad opera di ricercatori specialisti. Nacque così il nucleo centrale della raccolta di scritti che è giunta a noi con il nome di Bibbia e che comprende quello che noi oggi chiamiamo Antico Testamento.

Ultimi secoli prima di Gesù (400-4a.C.)
I secoli successivi sono molto complessi dal punto di vista storico. Merita un ricordo il periodo in cui la Palestina fu governata da Antioco IV, per la persecuzione scatenata dal re contro gli Ebrei che non volevano rinunciare alla propria fede (167 a.C.). È il periodo della rivolta armata da parte dei Maccabei e che diede origine alla dinastia degli Asmonei. Quando nacque Gesù la Palestina era una provincia dell’impero romano. Gli avvenimenti successivi si fondono con le vicende del cristianesimo e della Chiesa primitiva.

Giovanni Boggio (Biblista)

Antico e nuovo Testamento una sola Bibbia

La riflessione sulla “pienezza dei tempi”, che ci è stata suggerita dalla celebrazione del Natale, ha già introdotto il nostro tema. Forse a qualcuno potrà sembrare un discorso scontato. Chi è convinto che tutta la Bibbia è stata scritta per ispirazione di Dio, non fa fatica a considerare la Sacra Scrittura un’opera molteplice ma unitaria, nella quale lo Spirito Santo ha guidato la riflessione degli autori umani a sviluppare un pensiero indirizzato ad un fine ben preciso.

Ma è ancora piuttosto diffusa tra i cristiani la convinzione che, possedendo il Nuovo Testamento non abbiamo più bisogno di ricorrere alle Scritture ebraiche, in quanto inglobate e perfezionate nella rivelazione ultima e definitiva che ci ha dato Gesù, il nostro Maestro. “Abbiamo il Vangelo e non ci serve altro”, dicono molti cristiani, che all’apparenza dimostrano di avere grande stima per l’insegnamento di Gesù ma che in realtà lo conoscono solo in modo molto superficiale.

I concetti fondamentali della fede cristiana sono incomprensibili per chi non conosca come si sono formati e sviluppati nell’esperienza di Gesù stesso e in quella successiva degli apostoli e dei primi cristiani, tutti provenienti da una fede vissuta nella fedeltà totale alle prescrizioni della Legge di Mosè, la “Torah”.

Nella Bibbia ebraica gli apostoli hanno trovato la spiegazione di quanto era accaduto al loro Maestro. Dal confronto tra quanto conoscevano già e quanto avevano imparato vivendo al fianco di Gesù per tre anni, si sono aperti ad una lettura più in profondità delle pagine sulle quali si fondava la loro fede.

Questo modo di procedere non era affatto arbitrario, ma corrispondeva ad un procedimento abituale nella stessa Bibbia ebraica, che trovava nei nuovi eventi storici stimolo e provocazione a comprendere sempre meglio il progetto di Dio sul suo popolo. Basti pensare all’esperienza dell’esilio a Babilonia e alle riflessioni che ha suscitato, fino a dare origine alla Bibbia che è giunta fino a noi.

L’episodio di Emmaus
L’incontro dei due discepoli con il misterioso viandante è raccontato nel vangelo di Luca. Se lo leggiamo come in filigrana sarà facile scoprire l’atteggiamento dei primi cristiani, disorientati di fronte a quanto accaduto a Gesù e alla ricerca di una spiegazione umanamente improbabile. La tristezza dei due rivela il loro desiderio di capire ma anche lo scoraggiamento che provavano per il fallimento delle attese suscitate dal Maestro.

Il misterioso compagno di viaggio si introduce nella conversazione dei due discepoli e rilegge con loro le pagine della Bibbia che essi conoscevano bene, ma che interpretavano in modo limitato. Egli fa emergere i significati nascosti, mette in luce i collegamenti tra le parole dei profeti e i fatti di cui erano stati protagonisti e così la cronaca della passione e morte di Gesù viene illuminata da quelle pagine che ricevono a loro volta piena luce dal confronto con la tragica vicenda della croce.

La prima predica di Pietro
Nel giorno di Pentecoste gli apostoli furono costretti a presentarsi in pubblico per spiegare quanto era accaduto nelle settimane precedenti. La cronaca di quegli avvenimenti viene interpretata da Pietro non con parole proprie ma con riferimenti continui alle Scritture Sacre degli Ebrei. In questo modo, quello che, partendo da un punto di vista umano, era un fallimento completo dell’utopia predicata da Gesù, diventa la realizzazione di un piano progettato da Dio e manifestato nelle sue linee essenziali dalle parole dei profeti. Promessa e compimento, annuncio e realizzazione, sono i binomi su cui è impostata la predicazione degli apostoli che riescono così a dare ragione della propria fede.

Nella vita della ChiesaSenza questo intreccio complesso tra la Bibbia conosciuta allora e la vita di Gesù non sarebbe sbocciata la fede degli apostoli, non sarebbe nata la Chiesa, non avremmo i vangeli, non esisterebbe il Cristianesimo. Tutto quello che siamo, in quanto credenti, ha avuto origine dalla comprensione nuova delle antiche pagine, determinata dall’esperienza drammatica e poi esaltante vissuta dai discepoli a contatto con Gesù, prima durante la sua vita terrena e poi con il Signore risorto.

La Chiesa per comporre i propri libri sacri, visti come sviluppo di una lunga storia, ha continuato a ricorrere a quello che venne chiamato “Antico Testamento” perché in rapporto al “Nuovo Testamento”, evidenziando così l’unione profonda tra le due parti di un’unica opera.

Nei secoli successivi la Chiesa ha sempre alimentato la propria fede ricorrendo a questa sorgente unica, considerata il dono più grande che Dio le ha fatto. Senza la Bibbia nella sua interezza non si capisce la Chiesa, non hanno senso i sacramenti, non comprendiamo nulla della nostra fede, del perché ci è chiesto di vivere da cristiani. Non sempre questo rapporto è stato messo in primo piano, nonostante il ricorso continuo a tutta la Sacra Scrittura da parte dei primi scrittori cristiani.

Oggi, grazie alle indicazioni del Concilio Vaticano II, la Chiesa Cattolica si è riappropriata del patrimonio di fede da cui ha avuto origine e l’Antico Testamento è ritornato ad occupare il posto che Dio stesso gli ha assegnato. Certamente ciò avviene non senza qualche difficoltà, dovuta a tante cause. Sono però evidenti i segni di un interesse che, se non ha più l’entusiasmo della scoperta di un tesoro rimasto nascosto per troppo tempo, si caratterizza per l’approfondimento nello studio appassionato di tutta la Parola di Dio.

Giovanni Boggio (Biblista)


SPIEGÒ IN TUTTE LE SCRITTURE…

Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.  […] Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui (Luca 24,13-16.25-27).

Allora Pietro, levatosi in piedi con gli altri Undici, parlò a voce alta così: «Uomini di Giudea, e voi tutti che vi trovate a Gerusalemme, vi sia ben noto questo e fate attenzione alle mie parole: Questi uomini non sono ubriachi come voi sospettate, essendo appena le nove del mattino. Accade invece quello che predisse il profeta Gioele […]
Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete -, dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Dice infatti Davide a suo riguardo […]
Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso!» (Atti 2,14-16.22-25.36)