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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

sabato 5 luglio 2014

RITROVATE LE MURA DI GERICO (2)

RITROVATE LE MURA DI GERICO (2) … e veniamo a Gerico. Se proviamo a leggere il racconto del libro di Giosuè tenendo conto delle osservazioni fatte, avremo la sorpresa di trovarci di fronte ad un racconto assolutamente verosimile, tanto da essere tentati di catalogarlo addirittura tra i racconti strettamente storici, cioè che riportano i fatti esattamente come si sono svolti. Precisiamo subito che nel libro di Giosuè il termine chomah ricorre quattro volte (in 2,15 due volte; 6,5.20)...
Nei primi due casi si tratta certamente delle mura della città, presentate nella loro funzione difensiva. Il problema si pone soltanto per le due ricorrenze di 6,5 e 20. Notiamo che fin dall’inizio del racconto il testo mette in primo piano la sorpresa degli abitanti di Gerico che non sanno spiegarsi la presenza di quegli uomini “che hanno attraversato il Giordano”. Il pensiero del lettore va alla sorpresa degli stessi ebrei che si sono trovati di fronte al fiume in una stagione avversa, quando tutta la valle era allagata e rendeva impossibile andare da una sponda all’altra. Come aveva potuto compiere un’impresa di quella portata la gente che sembrava sbucata dal nulla? Quale forza dovevano avere, quali capacità eccezionali dovevano possedere quelle tribù che avevano già sconfitto i nemici che si erano opposti alla loro marcia? Queste considerazioni formano lo schema del racconto delle due spie (Giosuè 2,1-3). È evidente la preoccupazione del re di Gerico che doveva condividere la convinzione e la paura espresse dalla prostituta (2,9-11). Il centro del racconto è costituito dal versetto 11: “(Quello che avete fatto agli altri re) lo si è saputo e il nostro cuore è venuto meno e nessuno ardisce di fiatare dinanzi a voi”. È questa la chiave interpretativa di tutto il racconto costruito attorno al tema della paura di fronte ad un comportamento contrario a tutte le regole che guidavano i rapporti tra popolazioni diverse. Lo straniero era considerato un nemico potenziale e il primo atteggiamento nei suoi confronti era il sospetto. Il timore di un’aggressione armata suggeriva misure rigide di controlli per prevenire azioni militari. Tutti i sistemi di sicurezza erano basati sulla capacità dei propri soldati di rispondere con le armi al possibile invasore che, a sua volta, affidava alle armi la propria forza. A partire da questa convinzione era normale che gli abitanti di Gerico si preparassero ad affrontare quegli stranieri secondo i parametri usuali, convinti che anche essi facessero la stessa cosa. Invece si presentava una situazione totalmente nuova, inspiegabile che trovava Gerico assolutamente impreparata. Gli stranieri aggressori si presentavano disarmati (almeno all’apparenza) e non dimostravano intenzioni bellicose. Però non davano nemmeno segni di voler stringere alleanze o di chiedere ospitalità, non inviavano delegazioni o ambasciatori. Il loro comportamento era incomprensibile. C’era da aspettarsi di tutto in un clima che doveva diventare sempre più teso e angoscioso. Facciamo lo sforzo di calarci nei panni di chi si sente assediato da nemici che incutono paura e che minacciano un attacco con un atteggiamento provocatorio, senza mai sferrare l’assalto decisivo. Devono essere stati giorni di tensione crescente per gli assediati i sei giorni in cui gli ebrei facevano il giro attorno alla città in perfetto silenzio accompagnati solo dallo squillo delle trombe. Doveva essere un rituale magico – pensavano gli assediati – per invocare l’intervento di quel dio che li aveva condotti davanti alla loro città. Che cosa stava per accadere? Il nostro narratore è riuscito a creare un clima di suspense degno dei più grandi maestri del genere. Siamo così condotti al momento decisivo. Noi siamo stati informati che il “D-day” è stato fissato per il “settimo giorno” (6,3-4. 15ss.) ma gli abitanti di Gerico non lo sanno e vivono momenti sempre più angosciosi. Nel giorno stabilito succede qualcosa di assolutamente fuori dagli schemi, non solo da quelli tradizionali ma anche da quelli imposti dai nuovi arrivati. Infatti ripetono il giro attorno alla città per sette interminabili volte in un silenzio assoluto di fronte agli assediati sempre più sbalorditi. All’improvviso squillano le trombe, lo shofar suona insistente, il teru’a esplode con tutta la sua forza intimidatrice… e succede il finimondo. La città è in subbuglio, gli stessi soldati non sanno che fare, gli ordini dei comandanti sono confusi o non si sentono affatto soffocati dal frastuono che aumenta sempre di più alimentato dalle urla disperate degli abitanti terrorizzati. Gli assedianti hanno buon gioco, la città non ha più nessuna difesa, “sono crollate le mura” (6,20; cf 1Re 20,30), è completamente nelle loro mani, ne possono disporre a piacimento secondo il piano studiato da Giosuè e comunicato con largo anticipo con abbondanza di particolari. Il loro Dio, a cui attribuiscono il merito della vittoria strepitosa, ha pieno diritto a ricevere tutto il bottino derivante dal saccheggio della città, perché è lui il vero vincitore. Nel linguaggio di allora questo riconoscimento aveva un nome preciso: cherem che le nostre traduzioni ci hanno consegnato con un termine infelice che si è piantato nella fantasia di intere generazioni ed ha contaminato anche la nostra cultura: sterminio! Con buona pace dell’aspetto cultuale e religioso che sta alla base di quel gesto che a noi appare deprecabile e ripugnante ma che nella cultura generale del tempo antico (non solo tra gli Ebrei) rappresentava un doveroso ossequio al dio nazionale che aveva salvato il suo popolo. Perciò si meritava l’intero bottino fatto di cose materiali, poiché il popolo aveva già ricevuto la sua parte avendo avuto salva la vita. Mi aspetto un commento ironico di qualche lettore: “Ma questo è un romanzo!”. “È quanto è scritto nella Bibbia, nel libro di Giosuè” rispondo tranquillamente. Sfido chiunque a dimostrare il contrario. Ma è un racconto straordinario e assolutamente vero dal punto di vista psicologico, costruito con tutti gli ingredienti del più classico dei thriller, sembra pronto per essere trasformato in un film. Si tratta dunque di un fenomeno letterario e come tale deve essere valutato. Se lo leggo con gli occhiali di un archeologo sarò inevitabilmente deluso perché voglio cercare quello che l’autore del racconto non mi vuol dire e che perciò non troverò mai. Ma a questo punto devo chiedermi che cosa voleva dire chi ha scritto queste pagine. Voleva fare un racconto per vincere qualche premio letterario? Non ci pensava affatto, perché i suoi interessi erano unicamente di carattere religioso. In pratica voleva esortare i suoi lettori ad avere fiducia in Dio, a non scoraggiarsi di fronte a nemici potenti e forti. Senza escludere che nel salvare chi si fida di lui, Dio non si serva di quelle che noi chiamiamo doti naturali mentre gli antichi le consideravano una partecipazione della forza divina, un dono dello spirito. Tra queste doti gli Ebrei si riconoscevano depositari della capacità di inventare soluzioni nuove, di tentare quello che sembrava impossibile a tutti, di sorprendere l’avversario, di prenderlo in contropiede e così metterlo al tappeto. Nel cap. 8 troveremo un altro racconto che esalta le stesse doti strategiche grazie alle quali il piccolo e il debole riesce ad avere la meglio sul più forte. Come aveva fatto Davide con Golia, come aveva fatto Gedeone con i suoi trecento uomini… come avrebbero fatto molti anni dopo i caccia bombardieri israeliani a distruggere la contraerea e l’aviazione egiziana nella “guerra dei sei giorni” con un volo contrario a tutte le regole. Questa è la storia che conta, quando diventa davvero maestra di vita, quando insegna a capire gli avvenimenti senza incartapecorirsi in ricostruzioni cervellotiche quanto inverosimili. Ma questo tema è troppo appassionante. Riguarda tutta la Bibbia che nel suo insieme si presenta sempre con queste stesse caratteristiche: voleva insegnare a vivere felici e continua a mandare lo stesso messaggio anche a noi. Bisogna però saperlo leggere nel modo giusto. È questo che mi riprometto di fare nei post che seguiranno.