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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

lunedì 19 ottobre 2015

MISERICORDIA ESIGENTE


MISERICORDIA ESIGENTE


      La misericordia di Dio è stata proposta dal papa Francesco come tema di riflessione per l’anno giubilare che sta per incominciare. Si tratta certamente di un argomento centrale nella Bibbia. È facile costatarlo anche solo vedendo il numero di volte in cui compaiono i termini che esprimono questa idea. Si potrebbe raccogliere un’antologia di testi biblici che presentano la fede del popolo di Israele in un Dio caratterizzato dall’amore che si esprime soprattutto nella misericordia.

C’è un testo molto citato quando si parla del nostro tema. Si trova nel libro dell’Esodo (34,6) dove si narra che Dio presenta se stesso a Mosè con queste parole: « Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà». Questa automanifestazione di Dio introduce la scrittura delle seconde tavole della Legge (i “Dieci comandamenti”) viste come segno concreto della benevolenza di Dio nonostante l’infedeltà del popolo e la strage che ne era seguita, interpretata come castigo divino. Il riferimento è all’episodio conosciuto come “l’adorazione del vitello d’oro”, soggetto anche di molte rappresentazioni artistiche, grazie alle quali è diventato un cliché interpretativo della Bibbia spostando l’attenzione sulla spettacolarità del racconto e facendo passare in secondo piano la misericordia di Dio.

Questo spostamento di interesse che si è verificato anche in altre occasioni, ha una sua spiegazione in quanto è più facile rappresentare il peccato che non il pentimento e il perdono. Tanti modi di dire popolari lo confermano. Ciò non toglie che la conoscenza della Bibbia a livello popolare sia stata condizionata da presentazioni parziali e per ciò stesso fuorvianti.

Se focalizzare l’attenzione sul peccato del popolo e sul castigo che ne è seguito significa trasmettere un messaggio dimezzato e quindi falso, lo è altrettanto presentare l’altra metà del messaggio isolandola dal contesto letterario in cui è inserita. In questo modo si attribuiscono alle parole della Bibbia dei significati che non hanno, correndo il rischio di falsificare l’autentico messaggio che Dio, secondo la fede che si professa, voleva comunicarci.

È il caso del testo di Esodo 34,6 che, come abbiamo visto ci dà una definizione di Dio bellissima e incoraggiante. Ma se proseguiamo nella lettura del versetto che segue, troviamo un’affermazione che lascia sconcertati: «… ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione» (Esodo 34,7).

È questo il vero messaggio che ci propone la Bibbia nel comporre l’identikit di Dio: misericordioso ma anche esigente, misericordia e castigo. Ci piaccia o non ci piaccia. Sono le due facce della stessa medaglia che non possiamo separare. Dovremo sforzarci di capire il loro rapporto per poterlo anche spiegare, ma non possiamo far finta di niente e spacciare come insegnamento autentico quello che è soltanto una mezza verità. Inoltre un messaggio ridotto alla sola misericordia non tiene conto della realtà che si presenta il più delle volte con una faccia drammatica che sembra suggerire un’immagine di Dio ben diversa.

Il racconto di Esodo 34 è legato strettamente a quanto narrato nello stesso libro al capitolo 20 che presenta quella che potremmo chiamare la “prima edizione” del Decalogo. In breve, Mosè l’avrebbe distrutta a seguito del peccato del popolo e, come abbiamo visto, sarebbe stata sostituita da un’altra stesura. Stranamente, l’elenco dei dieci comandamenti ricordati da tutti è quello distrutto, mentre quello riportato al capitolo 34 è conosciuto quasi solo dagli studiosi. Ma la cosa interessante per il tema che stiamo affrontando, è il confronto tra l’autopresentazione di Dio che troviamo nel testo di Esodo 20,5-6 con quella del capitolo 34.

Nei due “identikit” (mi si passi il termine) i “tratti segnaletici” che permettono di identificare il Dio  biblico sono gli stessi: misericordia e severità. Però nel capitolo 34 è elencata per prima la misericordia mentre nel capitolo 20 si presenta per prima la severità. Il primo posto dato alla misericordia non è casuale, come ho già sottolineato. Altrettanto si può dire per la severità, ben comprensibile nello scenario terrificante in cui è inserita la consegna della “Legge” nel capitolo 20.

Ma leggiamo il testo. «Io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi» (Esodo 20,5-6). Molti lettori si fermano inorriditi alla fine del v. 5 perché non accettano l’idea che Dio possa essere così crudele e ingiusto. Basterebbe fare un piccolo sforzo e continuare con la lettura del versetto seguente per capire il significato della frase completa: come tre o quattro sono una piccola quantità se paragonati a mille, così i castighi di Dio sono una piccola cosa di fronte alla sua bontà.

I due identikit coincidono nel descrivere lo stesso soggetto, l’unica differenza consiste nella faccia della medaglia che viene presentata per prima ma non per questo deve essere considerata l’unica. Se vogliamo conoscere il messaggio autentico trasmesso dalla Bibbia, non solo in riferimento diretto a Dio, dobbiamo leggere i testi nella loro completezza narrativa, cioè come unità letterarie significative e non come affermazioni isolate.

Soltanto a questa condizione quella che ad un primo impatto poteva sembrare una dichiarazione di crudeltà spietata diventa invece l’affermazione più consolante di tutta la Bibbia. Ma bisogna rispettare il testo per quello che dice e capire il senso delle parole. Anche in questo caso una lettura “selettiva” del testo può portare al fraintendimento del suo significato con risultati devastanti. Dobbiamo accettarlo per quello che è, non per quello che ci fa comodo. Solo dopo ci chiederemo perché e come gli antichi si erano fatta questa idea di Dio e a questo punto i tecnici daranno le informazioni del caso.

 Un gioco di squadra

Anche nel libro di Ezechiele si affronta il tema dell’apparente ingiustizia e crudeltà di Dio con espressioni identiche a quelle dei testi di Esodo citati. Il problema creava difficoltà tra il popolo anche in quegli anni ed era vissuto sulla propria pelle dai deportati a Babilonia. Non era una questione accademica ma nasceva da una sofferenza incomprensibile condensata in un detto popolare: «I padri hanno mangiato l’uva acerba e i denti dei figli si sono allegati» (Ezechiele 18,2; Geremia 31,29).

I due profeti reagiscono a questa interpretazione che spingeva ad un atteggiamento di fatalismo. Dando per scontata la punizione per una colpa commessa da altri si rendeva inutile qualsiasi impegno a cambiare comportamento. In pratica si rifiutava quella conversione che invece era la condizione indispensabile per ottenere il perdono di Dio, cioè per diventare oggetto della sua misericordia.

«Colui che ha peccato e non altri deve morire; il figlio non sconta l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio. Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità» (Ezechiele18,20). E ancora continuando sullo stesso tema: «Forse che io ho piacere della morte del malvagio – dice il Signore Dio – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?» (18,23). Il profeta interpreta il desiderio che Dio ha di manifestare la sua misericordia, ostacolato soltanto dall’ostinazione dell’uomo nel compiere il male.

In questi testi di Ezechiele e in molti altri dello stesso tipo non si trova il termine “misericordia” ma il messaggio che viene comunicato è lo stesso di quello evidenziato nel testo di Esodo: Dio perdona anche le colpe peggiori a patto che il colpevole desista dal suo comportamento malvagio. In altri termini, Dio rispetta la libertà che ha donato all’uomo e accetta le sue scelte.

Resta però ancora da capire il fatto che, oggettivamente nella storia dei popoli come in quella delle famiglie, si verifica proprio quello che facciamo tanta difficoltà ad accettare: le colpe dei padri (o dei responsabili dei governi) ricadono sui figli o sui sudditi. Bisogna però vedere anche l’altra faccia della medaglia. I figli o i sudditi godono anche dei vantaggi ottenuti dalle scelte intelligenti fatte dai padri o dai capi. In ogni caso tutti sono coinvolti, nel bene o nel male, dalle conseguenze di decisioni prese da altri.

Penso che questa situazione veniva sperimentata soprattutto nell’esperienza della vita delle tribù dove tutto era condiviso ed era impensabile, o del tutto eccezionale, vivere isolati. Anzi, l’allontanamento dalla tribù equivaleva ad una condanna a morte (cfr. Genesi4,13-14). Per usare un’immagine più vicina alle nostre abitudini, potremmo dire che tutta la vita era come un gioco di squadra, dove l’autogol di un giocatore segna la sconfitta di tutti, come anche la prodezza di uno fa considerare vincitore anche chi ha sbagliato tutto o addirittura è rimasto in panchina.

Il coinvolgimento in una sorte comune, nel bene o nel male, non impedisce una valutazione del singolo anche opposta a quella data alla squadra. Un giocatore bravo può meritare un otto anche se la squadra è stata sconfitta come può ricevere un quattro chi ha giocato malissimo in una squadra vincitrice. La responsabilità personale è tenuta distinta da Dio da quella collettiva anche se le condizioni generali sembrano premiare i colpevoli o punire gli innocenti.

Ma anche in questo caso non possiamo fermarci a citare soltanto i testi che presentano il lato simpatico delle vicende umane, perché la Bibbia si pronuncia anche sull’aspetto, meno gradevole ma purtroppo reale, della vita e cioè l’esistenza del male. I testi di Ezechiele che abbiamo visto sono inseriti in un contesto letterario più ampio che sviluppa il tema della responsabilità personale, su cui il profeta ritorna più volte.

Soprattutto nel capitolo 18 il profeta presenta i diversi comportamenti dell’uomo a cui si contrappone la risposta di Dio. Che non è mai accomodante, non dice mai “facciamo finta che…”. Il Dio presentato dalla Bibbia ci prende terribilmente sul serio, ci ritiene persone responsabili, consapevoli delle nostre scelte. Ma non ci nasconde le conseguenze che ne derivano e fa di tutto per evitarci il fallimento delle nostre illusioni.

«Ma se uno ha generato un figlio violento e sanguinario che commette azioni inique, mentre egli non le commette, e questo figlio mangia sui monti, disonora la donna del prossimo, opprime il povero e l’indigente, commette rapine, non restituisce il pegno, volge gli occhi agli idoli, compie azioni abominevoli, presta a usura ed esige gli interessi, questo figlio non vivrà; poiché ha commesso azioni abominevoli, costui morirà e dovrà a se stesso la propria morte.

Ma se uno ha generato un figlio che, vedendo tutti i peccati commessi dal padre, sebbene li veda, non li commette… costui non morirà per l’iniquità di suo padre, ma certo vivrà. Suo padre invece, che ha oppresso e derubato il suo prossimo, che non ha agito bene in mezzo al popolo, morirà per la sua iniquità» (Ezechiele 18,10-14.17-18).

Siamo sinceri, al di là del linguaggio legato ad una cultura diversa dalla nostra, non è quello che anche noi vorremmo vedere quando ci troviamo di fronte ai comportamenti di tanti nostri contemporanei che ripetono tali e quali i delitti denunciati dal profeta? C’è una sintonia profonda tra la presentazione fatta dalla Bibbia della reazione di Dio di fronte al male e quella che proviamo anche noi. Ma a patto di non cadere poi nella trappola di lasciarci sedurre dal fascino esercitato dai comportamenti che condanniamo quando sono seguiti dagli altri.