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Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

giovedì 18 agosto 2016

PREGARE INSIEME: “A PRESCINDERE”


SONO D'ACCORDO CON I MUSULMANI


        Non con tutti, ma con quelli che non sono andati a messa per manifestare solidarietà con i cristiani. Le motivazioni che li hanno spinti a questa scelta, stando alle dichiarazioni riportate dai giornali, sono molto varie e non tutte condivisibili dal mio punto di vista. Però mi è sembrato molto bello quanto dichiarato da alcuni “assenteisti” che non hanno partecipato alla messa “per rispetto verso i cristiani”. Con questo non voglio dire che tutti lo abbiano fatto per lo stesso motivo, né che quanti sono entrati nelle nostre chiese avessero intenzione di recare un affronto alla nostra religione.

Questa lunga premessa, con tutti i “distinguo” del caso, dimostra la delicatezza del problema e la difficoltà di affrontarlo in modo sereno senza accuse reciproche di filo o anti islamismo. Parallelamente la duplice posizione riscontrata all’interno della comunità ecclesiale tra favorevoli e contrari alla presenza islamica credo che debba essere vista come occasione provvidenziale per una comprensione più profonda della nostra fede.

“Mistero della fede”

È con questo spirito che propongo alcune considerazioni che mi hanno convinto a prendere una posizione nettamente contraria alla presenza di non credenti, islamici o no, al “mistero della fede” che noi cristiani celebriamo. A costo di essere noioso, ribadisco che non sono contrario alla ricerca, per quanto faticosa, di una preghiera comune (ci mancherebbe altro…). Il tema vero è: la Cena del Signore, comunemente e impropriamente conosciuta come “Messa”.
Si sta diffondendo il desiderio di trovare il modo di incontrarsi tra esponenti di religioni diverse per pregare insieme, mettendo da parte le differenze (trasformate spesso in contrapposizioni anche violente) per cercare gli elementi comuni alle diverse fedi. L’intento è lodevole, dimostra una sensibilità nuova di fronte a situazioni che in passato hanno dato origine a guerre devastanti.
Sono entrati nella storia gli incontri svoltisi ad Assisi come pure altri momenti di preghiera “insieme” tra il papa ed esponenti di spicco di altre religioni. Non ho usato l’espressione “preghiera comune” (anche se spesso è comparsa nelle cronache giornalistiche) perché in effetti ognuno dei partecipanti ha recitato la sua preghiera personale davanti agli altri che ascoltavano in silenzio. Qualcuno si è anche ritirato in disparte, sottolineando educatamente la mancanza di condivisione. Anche questo atteggiamento deve essere visto come un passo in avanti nei confronti di situazioni di intolleranza frequenti nel passato, ma evidenzia anche quanta strada ci sia ancora da fare per avere una preghiera condivisa da tutti.
Penso che sia doveroso chiedersi se sia davvero possibile, nelle attuali condizioni, recitare una formula di preghiera che esprima una fede comune quando questa fede comune non esiste. È inutile nasconderlo, questa è la realtà. Se la preghiera non viene identificata con un “rito” ma è intesa come un dialogo tra l’uomo e Dio, è evidente che il modo di rappresentare Dio condiziona il rapporto che si vuole stabilire con lui.

Tre ritratti diversi dell’unico Dio

Oggi si cerca di superare questa posizione affermando che esiste un solo Dio e che ogni religione lo chiama in modo diverso senza modificare la sua natura. È vero, però è altrettanto vero che pregando non ci rivolgiamo a Dio in se stesso ma attraverso l’immagine con cui è stato rappresentato dalle diverse religioni. È altrettanto vero che ogni religione è convinta che l’immagine di Dio elaborata dalla propria tradizione corrisponda esattamente alla realtà del soggetto rappresentato.
Ecco allora che le cosiddette “tre religioni monoteiste” presentano tre identikit diversi del Dio che dicono di adorare e che identificano con il “Dio di Abramo”, per cui si autoproclamano “figli” del personaggio biblico. Questa espressione, ripetuta automaticamente forse perché “suona bene”, è quanto mai equivoca.
Per gli Ebrei e per gli islamici esprime un legame genetico secondo il racconto biblico, che offre una spiegazione dell’ostilità permanente tra gli Ebrei discendenti del figlio “legittimo” (Isacco) e gli arabi (diventati musulmani solo molti secoli dopo) discendenti dal figlio “ripudiato” (Ismaele, figlio della schiava Agar). Anche i cristiani si dichiarano figli di Abramo, ma il loro legame con il patriarca è basato sulla sua fede, secondo l’insegnamento di Paolo.
A questo punto però dobbiamo chiederci quale immagine di Dio poteva avere Abramo, stando ai racconti biblici originali, prima delle elaborazioni teologiche successive che lo hanno presentato come l’Unico esistente con l’esclusione di ogni altra divinità. È questa la nota comune alle tre religioni che però si differenziano procedendo nell’elencare le altre caratteristiche del proprio Dio.
Confrontando i tre identikit è evidente la somiglianza tra quello ebraico e quello islamico, mentre quello cristiano partendo dallo stesso principio si sviluppa in senso trinitario. Ed è proprio questo aspetto che viene rifiutato dalla fede ebraica e denunciato decisamente dalla religione islamica che lo respinge e combatte come un’empietà.
Non ci vuole molto a capire che in questa situazione storico-culturale, pur movendo dallo stesso principio (Dio unico) le tre religioni sono diverse e addirittura opposte. La storia ha evidenziato impietosamente questa realtà. Oggi si incomincia a sentire, anche se in modi diversi, l’incongruenza di queste posizioni ideologiche. Da parte ebraica sembra farsi strada un certo interesse verso la fede cristiana, nonostante casi di intolleranza dovuti ad esperienze drammatiche del passato, mentre rimane immutato il rifiuto nei confronti dell’islam causato dalle condizioni politiche. La posizione dell’islam sia verso l’ebraismo che verso il cristianesimo è ben nota ed è aggravata dal fatto che l’ostilità è motivata e imposta dai testi su cui quella religione è fondata: il Corano. La fede cristiana, basata su testi considerati un tutt’uno con quelli usati dagli Ebrei, potrebbe essere un elemento catalizzatore dell’incontro con le altre fedi grazie alle caratteristiche del proprio credo religioso.
Non è un caso che questa istanza sia portata avanti (alcuni aggiungono: con testardaggine…) da ambienti cristiani desiderosi di vedere finalmente realizzato il desiderio del loro fondatore: un unico popolo che riconosce Dio come Padre. Il sogno è molto bello. Ma c’è un detto ebraico che ammonisce: “Se vuoi che i tuoi sogni si realizzino, smettila di sognare!”. In altre parole, guarda in faccia la realtà e datti da fare.

“a prescindere”

       E la realtà oggi è quella che abbiamo descritta: gli Ebrei e i musulmani non possono nemmeno incontrarsi (Neveh shalom e iniziative similari sono mosche bianche!), tanto meno pregare insieme. I cristiani d’avanguardia vorrebbero pregare con gli uni e con gli altri e forse potrebbero anche farlo se fossero disposti “a prescindere” dalla caratteristica della loro fede cioè se rinunciassero a quella parte del Credo che li qualifica come cristiani: CREDO IN CRISTO FIGLIO DI DIO.
Ma allora cosa rimane della fede cristiana? L’affermazione di un unico Dio, che però, come abbiamo visto, è presentato con caratteri distintivi differenti e irriducibili. C’è da chiedersi se accettando che degli islamici partecipino alla celebrazione della Messa non li sottoponiamo ad una tortura mentale, costringendoli a sentire ripetere in mille modi “per Cristo nostro Signore” circondati da crocifissi e statue varie, tutte cose severamente rifiutate dal loro libro sacro. Se vogliamo davvero rispettarli non chiediamo loro di prendere parte alla preghiera che per noi dovrebbe essere l’espressione più tipica della nostra fede: condividere la cena del Signore con i suoi amici più intimi.

Messa dei catecumeni

Vorrei ricordare che anticamente si dava importanza a quella che era detta “messa dei catecumeni”. Terminata la parte introduttiva con le letture bibliche, il commento e la preghiera comune si invitavano i catecumeni (coloro che si preparavano a diventare cristiani) ad uscire dalla chiesa perché non erano ritenuti ancora in grado di comprendere il mistero che i battezzati stavano per celebrare.
È vero che col passare del tempo questa distinzione ha perso di importanza e la celebrazione del mistero si è trasformata nella ripetizione di un rito a cui tutti dovevano partecipare in una società dichiarata ufficialmente cristiana, al di là di  una fede realmente condivisa. Il battesimo dato ai bambini rendeva tutti “credenti” e quindi soggetti alle leggi della Chiesa codificate nel Diritto Canonico, in parallelo a quello civile. Era impensabile un comportamento privato diverso da quello previsto dai codici. Le conseguenze più drammatiche si sono avute forse nel matrimonio, considerato sempre come sacramento in quanto celebrato da due battezzati, indipendentemente dalla loro reale adesione alla fede.
Per quanto riguarda la messa, si dava per scontato che in una società cristiana tutti partecipassero alle manifestazioni che la caratterizzavano. Con l’emergere di una società che si ispirava a principi laici si vennero a formare due strutture parallele che cercavano di convivere rispettandosi anche attraverso compromessi di comodo. Solo i regimi totalitari sono stati dichiaratamente intolleranti nei confronti della religione, accusata di essere causa delle peggiori nefandezze.
Nelle società che riconoscevano le radici comuni nella tradizione cristiana, la convivenza pacifica si manifestava anche con lo scambio di presenze delle rispettive autorità alle ricorrenze religiose o laiche. Era un segno di rispetto reciproco, niente di più. Il vescovo poteva continuare a credere nel suo Dio, il sindaco o il capo di Stato potevano continuare a proclamarsi atei come il generale dell’esercito continuava ad essere massone.
Abbiamo così assistito a sfilate di autorità civili e militari che non avevano niente da spartire con la fede che noi volevamo celebrare. E abbiamo “arricchito” la semplicità della cena del Signore con insegne sontuose, con rituali complicati, con inchini, riverenze cortigiane, incensazioni faraoniche, posti di onore riservati ai dignitari, scopiazzando i cerimoniali delle corti imperiali. E così abbiamo messo in soffitta l’insegnamento del vangelo riproposto con decisione da un altro testo cristiano (Luca 11,43; Lettera di Giacomo 2,1-4).

Scambio di cortesie

La Messa è diventata un evento pubblico alla pari con la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici o con l’inaugurazione dell’EXPO. La presenza dei vescovi ad avvenimenti del tutto profani non era che un ricambio di cortesia tra i rappresentanti dei poteri. Solo con questi presupposti si può spiegare come la presenza alla celebrazione del “mistero della fede” di non aderenti al nostro Credo, islamici o no, sia stata accettata o addirittura auspicata da molti vescovi e vista come una vittoria della nostra religione.
Mi sforzo per capire anche questa posizione. Dev’essere difficile per chi è abituato a certi cerimoniali ossequiosi, pensare che il rispetto si possa manifestare anche con un’assenza o che debba necessariamente essere accompagnato da un’orchestra o da una folla oceanica oleggiante.
Concludo ringraziando ancora una volta i musulmani che non sono venuti nelle nostre chiese perché hanno intuito che la Messa è qualcosa che appartiene solo a noi, anche se siamo convinti che Cristo si è offerto per tutti. Anche se mi fosse permesso, io non entrerei mai in una moschea durante la preghiera islamica, semplicemente per un senso di rispetto per una tradizione che non mi appartiene.
Chiedo a tutti quelli che non condividono la mia fede di fare altrettanto nei nostri confronti: lasciateci soli con il nostro Maestro, ci sono troppe cose che dovremmo spiegarvi per giustificare quello che stiamo facendo. È molto bella e gradita la vostra solidarietà ai nostri lutti, ma ci sono mille altri modi per manifestarla senza ricorrere alla Messa.