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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

venerdì 22 maggio 2015

“A PORTE CHIUSE”

…e venne Gesù
“A PORTE CHIUSE”

Abbiamo letto questa frase nei testi del vangelo proposti dalla liturgia nei giorni dopo la Pasqua. Nei racconti delle apparizioni di Gesù risorto, questo particolare è importante perché sottolinea due aspetti dell’esperienza vissuta dagli apostoli: la realtà della presenza di Gesù e insieme la diversità del suo modo di essere presente. È lo stesso Gesù che hanno conosciuto durante la sua vita ma è anche diverso nelle sue caratteristiche.

Si tratta di un’esperienza assolutamente nuova nelle sue modalità, ma è anche la continuazione di un rapporto di familiarità e di amicizia iniziato anni prima. Quando Gesù insegnava ai discepoli come avrebbero dovuto comportarsi, spesso non lo avevano capito e glielo avevano detto apertamente, ricevendo anche i rimproveri del Maestro. Ora non capivano nemmeno il suo nuovo modo di vivere e di presentarsi. Tommaso ha il coraggio di dire brutalmente quello che forse pensavano tra sé anche gli altri apostoli. La sua è una sfida a Gesù: «Se è davvero lui, si lasci toccare. Voglio verificare le sue ferite per evitare che si presenti un suo sosia che si spaccia per il Maestro».
Gesù accetta la sfida e invita Tommaso a procedere nel suo esame. Possiamo facilmente immaginare la curiosità degli altri apostoli per vedere come sarebbe andata a finire. Sì, perché il dubbio di Tommaso in prima battuta era stato un insulto a tutti gli altri che si sentivano accusati di essere un gruppo di creduloni ingenui facilmente suggestionabili.
Era lo stesso giudizio che avevano espresso i maschi della compagnia nei confronti delle donne che per prime avevano dato la notizia del loro incontro con il risorto. Giudizio condiviso con distacco anche dai due che se ne andavano ad Emmaus, quando dicono al compagno di viaggio che avevano sentito dire che il Maestro era risorto, ma che era una voce messa in giro da «alcune donne». Cioè, si trattava di pure fantasie a cui non si doveva dare peso.
Ma al di là di queste considerazioni sul testo del vangelo, mi sono sentito provocato dal fatto che «Gesù entra a porte chiuse», cioè senza chiedere permesso, come un intruso che per di più concentra l’attenzione su di sé. Mi ero sempre sentito proporre un’altra immagine di Gesù che si presenta come un pellegrino discreto, che si ferma alla porta e bussa chiedendo educatamente se lo vogliamo accogliere (cfr. Apocalisse3,20), disposto a continuare nel suo cammino in cerca di ospitalità. Immagine bellissima. E corrispondente alla realtà. Il Signore comunemente si presenta proprio in questo modo, non invadente, sommesso. Non urla i suoi inviti ma li sussurra e solo un animo attento e sensibile è in grado di percepirli e di accoglierli.
Il pensiero corre subito al profeta Elia che scopre la voce di Dio nel mormorio di una brezza leggera dopo aver sentito l’urlo di un vento devastante che lo aveva sconvolto, dopo aver provato lo spavento del terremoto ed essere scampato ad un incendio furioso (cfr. 1Re19,11-13).
Tutto vero. Ma è anche vero che c’è la possibilità che la calma e il silenzio favoriscano l’insorgere di una sonnolenza pesante, anticamera di un sonno profondo che aliena dalla realtà. O ancora più semplicemente, che ci si adagi nelle comodità di un ozio improduttivo ma che sembra appagare il desiderio di tranquillità che tutti sogniamo.
I vangeli presentano gli apostoli rinchiusi in casa «per paura dei Giudei» (Giovanni 20,19). Forse la stessa paura (inconfessata!) impedisce a noi, cristiani del 2000, di affrontare a fronte alta, ma senza alterigia, il mondo per proporre il messaggio del vangelo. Sottolineo: proporre non imporre. Cioè offrire una possibilità di vita migliore, di rapporti tra persone, culture e nazioni basati sulla collaborazione e l’intesa e non sulla competizione egoistica che mira ad eliminare fisicamente ogni “altro” diverso da me.
Penso che non sia troppo azzardato interpretare le tragedie assurde e le stragi di innocenti che devastano le nostre città come uno scossone violento che ci dovrebbe svegliare dai sogni  che ci hanno illusi in questi anni passati. I racconti del vangelo ci suggeriscono l’idea che il Signore si sia intromesso nella nostra vita, nonostante che noi gli avessimo chiuso la porta, per spingerci ad uscire dalle nostre paure sostenuti dalla certezza che lui è con noi e quindi non ci può accadere nulla di male.

(Pubblicato sul mensile Vita della Diocesi di Viterbo, maggio 2015)