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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

mercoledì 11 giugno 2014

LEGGERE LA BIBBIA

LEGGETE LA BIBBIA, PER FAVORE! È passato poco più di un mese dalla pubblicazione su Repubblica dell’articolo che negava la storicità della Bibbia (29 aprile) e il giornale romano ritorna sul tema con un commento di Guido Ceronetti (29 maggio). Non so se i responsabili del quotidiano abbiano voluto fare un passo indietro nei confronti del primo articolo, consapevoli di aver pubblicato una bufala...
È certo però che Ceronetti demolisce le argomentazioni – se così le vogliamo chiamare – dell’archeologo israeliano, usando lo strumento giusto per valutare un testo letterario e per di più di contenuto dichiaratamente religioso, e cioè le parole (perciò: non le pietre!). Sia ben chiaro che Ceronetti non ha rinunciato alla sua posizione di non credente, ma proprio questo fatto rende il suo intervento più credibile in quanto non dettato da preoccupazioni confessionali. L’approccio alla Bibbia deve essere scientifico, cioè rispettoso delle caratteristiche con cui si presenta. La Bibbia è prima di tutto un testo letterario e deve essere studiato e valutato con gli stessi criteri e strumenti usati per qualsiasi altro scritto che presenti le stesse caratteristiche. Non si presenta come un trattato di scienze naturali (anche se parla di natura), non si presenta come un trattato di geografia (anche se descrive paesi e regioni, monti e fiumi). Queste due affermazioni sembra siano state accettate abbastanza comunemente dagli ambienti degli studiosi, anche se assistiamo ancora a rigurgiti di “concordismo” da parte di chi è rimasto ancorato a quanto gli è stato insegnato da bambino. Permane invece con ostinazione il pregiudizio che la Bibbia “pretende di essere” un insieme di libri che ricostruiscono fedelmente gli avvenimenti del passato, così come si sono realizzati. In altre parole, si continua a considerare la Bibbia un’esposizione ordinata e documentata di come si sono svolti gli avvenimenti umani che noi conosciamo anche attraverso i racconti di scrittori appartenenti ad altri popoli antichi. A questi si concede ampia fiducia che invece viene rifiutata agli autori biblici accusati, senza mezzi termini, di essere dei mistificatori. Purtroppo l’idea contraria è stata diffusa per secoli negli ambienti religiosi che intendevano giustificare l’origine divina della Sacra Scrittura che, se aveva Dio come autore, non poteva insegnare come verità ciò che non lo era. Il principio è giusto: Dio non può insegnare il falso. Il problema però riguarda ciò che Dio vuole “insegnare” e di quali mezzi si sia servito per farlo. Si è accettato il fatto che il mondo materiale venga descritto come appariva agli occhi di tutti – e che continui ad apparire tale anche a noi – ma si rifiuta ancora l’ipotesi che anche la storia sia raccontata “come la conoscevano gli antichi”. Si accettano gli autori di altri popoli quando raccontano la loro storia senza riflettere che anch’essi scrivevano con gli stessi criteri usati da chi ha raccolto e tramandato i ricordi che spiegavano le lontane origini del popolo ebraico. Gli studiosi di letterature antiche hanno dato un nome a questo modo di raccontare e lo hanno definito come “epopea”. Tutti sanno che nel racconto epico i fatti e i personaggi storici hanno valore per il loro significato e non per l’esatta corrispondenza ad una realtà che sfuggiva agli antichi e ancora di più a noi. Tra gli studiosi cattolici è almeno dal 1943 che si parla di “generi letterari”, cioè modi di raccontare i fatti comuni ad una determinata epoca o cultura. Si tratta sempre, come si vede, di fenomeni letterari, gli unici in grado di spiegare dei testi composti da parole. Le pietre o i cocci portati alla luce dal lavoro degli archeologi possono aiutare a capire le parole, ma non possono mai sostituirsi ad esse. Nell’articolo di Repubblica si afferma tra l’altro con grande enfasi: “Le città di Canaan non erano «grandi», come si legge nella Bibbia, non erano fortificate, non avevano mura «che si levavano alte fino al cielo»”. È vero che queste frasi si leggono nella Bibbia, ma sono attribuite agli esploratori che, di ritorno dalla loro ispezione nella terra di Canaan, vogliono dissuadere gli Ebrei dal tentare la conquista e perciò esagerano le difficoltà per scoraggiare il popolo. Basta leggere il racconto nel libro dei Numeri al capitolo 13 versetti 28 e 31-35 per capire che quella descrizione “si trova nella Bibbia” ma “non è della Bibbia” che si limita a riferire un’opinione che ritiene non corrispondente alla verità “storica”. Non vorrei esagerare ma, almeno in questo caso, la Bibbia “conferma” autorevolmente le scoperte degli archeologi. Che poi nel libro di Giosuè si parli del crollo delle mura di Gerico (Giosuè cap. 6) è una questione che va affrontata dal punto di vista linguistico prima di tutto, come si dovrebbe fare sempre. Si dovrebbe stabilire il significato da dare al termine ebraico “chomah” che indica certamente il muro di difesa di una città, ma che è usato anche in più di un caso in senso metaforico per indicare appunto una “difesa” che può essere costituita da uomini (come nel caso di 1 Samuele 25,16) oppure dall’acqua del Nilo che circonda la città di Tebe e la difende dai nemici (Nahum 3,8) o dall’acqua del mare di cui si parla in Esodo 14,22.29 testo che ha alimentato la fantasia di intere generazioni, ancora restie a far crollare le “muraglie del Mar Rosso”, tanto care agli effetti speciali hollywoodiani quanto assolutamente estranee al testo biblico. Non è di ieri l’interpretazione suggerita da alcuni studiosi, che Gerico fosse difesa non da una cinta muraria ma da una guarnigione di soldati molto ben addestrati a combattere con le spade ma del tutto impreparati ad affrontare un nemico che li aggrediva con un chiasso assordante. Teru’a ghedolah dice il testo ebraico, dove teru’a indica già di per sé il grido di guerra che però viene qui descritto come ghedolah cioè grande, forte, assordante. Il racconto induce a pensare che quei quattro gatti di Ebrei abbiano voluto impressionare i difensori di Gerico passando e ripassando sotto il loro naso per dare l’impressione di essere in tanti. I giri ripetuti intorno alla città dovevano servire anche a monitorare le difese nemiche, cercando di individuare i punti deboli dove sferrare l’assalto. Contemporaneamente dovevano servire a memorizzare le fasi dell’attacco senza bisogno di ricevere ordini dagli ufficiali. Cosa che ha sorpreso i difensori rimasti sconcertati dal frastuono infernale scatenato dagli aggressori che impediva di ricevere gli ordini su come reagire. Insomma, si sarebbe trattato di un capolavoro di strategia militare che sopperiva all’inferiorità numerica giocando a carte scoperte ma barando fino in fondo e sfruttando il fattore psicologico. Non ho mai fatto il servizio militare e non so se la mia ricostruzione trovi il consenso degli strateghi dell’esercito. Ma non mi interessa. Sono sicuro che invece è in linea con altri racconti della Bibbia che sviluppano lo stesso tema e che potrebbe essere riassunto in una battuta: la furbizia ha sempre la meglio sulla forza. Che poi questa furbizia sia considerata un dono che Dio concede a chi si fida di lui è un fatto che riguarda la fede e non potrà mai essere né confermato né smentito. Un altro racconto di vittoria “impossibile” si trova nel libro dei Giudici al capitolo 7. Si tratta del trionfo di Gedeone contro i Madianiti. Sembra la fotocopia di quanto descritto per Gerico, con i dovuti adattamenti. Anche qui abbiamo un nemico numerosissimo (“ i cammelli – dei Madianiti – erano senza numero come la sabbia che è sul lido del mare”) mentre gli Ebrei (che volevano opporre i loro numeri) sono ridotti ad appena trecento per esplicito volere di Dio. Gedeone con un servo va a spiare il campo nemico e sente raccontare un sogno premonitore. Studia una strategia adatta al caso e la comunica ai suoi trecento soldati scelti e addestrati sul campo. Al frastuono improvviso si aggiunge l’effetto delle fiaccole che si accendono contemporaneamente tutto intorno all’accampamento nemico. L’effetto psicologico è devastante. Svegliati bruscamente dal sonno i soldati cercano le armi ma finiscono per usarle contro i loro commilitoni, mentre gli Ebrei rimangono immobili a godersi lo spettacolo accompagnando la carneficina con il suono delle loro trombe. È una scena fantastica nella sua tragicità che unisce però anche l’ironia del piccolo e debole che riesce a superare il forte grazie alla sua astuzia. Sarebbe lungo, ma interessante, raccogliere gli altri racconti di questo “genere letterario” e confrontarli tra di loro, a partire ad esempio dall’episodio di Davide e Golia. Penso che di fronte a racconti così coerenti nel voler dimostrare il principio che abbiamo ricordato non abbia più alcun senso la domanda: “Sono racconti storici o sono inventati? Sono veri o sono falsi?”. Semplicemente è una domanda assurda, che non ha senso. Gli esempi portati dimostrano che la verità ha altre dimensioni che non si possono ridurre all’esistenza o meno di una pietra muta. La verità di racconti del genere sta nel presentare una caratteristica universalmente riconosciuta al popolo di Israele e bene espressa nella figura di Davide contrapposto a Golia. Si dirà che sto dando ragione all’archeologo di Tel Aviv. In realtà c’è una piccola differenza: Herzog e il giornale che lo ha pubblicato, vogliono squalificare la Bibbia facendola passare per una favola – io cerco di “capire” la Bibbia e mi sforzo di aiutare chi mi legge ad arrivare allo stesso risultato. Per capire meglio la Bibbia forse sarebbe più utile scavare nei dizionari e leggere tra le righe dei testi antichi, piuttosto che cercare sotto la sabbia del deserto testimonianze mute o che non sono mai esistite. Ma su questo argomento c’è ancora molto da dire.