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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

venerdì 26 dicembre 2014

I 10 COMANDAMENTI SECONDO BENIGNI


     C’era da aspettarselo.  È andato tutto secondo copione. A partire dalla curiosità suscitata dall’evento pubblicizzato come pochi altri, alla risposta dei telespettatori superiore ad ogni più rosea previsione, dai commenti entusiasti di gerarchie ecclesiastiche alle critiche astiose di ambienti anticlericali o benpensanti, dalla non celata soddisfazione di dirigenti RAI per i dati dell’Auditel al compenso dato al giullare, ritenuto da molti scandaloso e da altri addirittura inferiore al dovuto. Visto che 4 milioni di euro versati a Benigni, divisi per 10 milioni di spettatori dichiarati, riducono la spesa pro capite a soli 40 centesimi di euro, non sembra davvero così esagerato il costo di una trasmissione che ha risparmiato drasticamente sulla scenografia, ridotta all’osso.

Ma veniamo alla trasmissione. Mi pare che la soddisfazione compiaciuta di certi ambienti religiosi, che l’hanno interpretata come una testimonianza di fede, quasi una “conversione” di un comico spesso dissacrante, sia del tutto fuori luogo. Si è trattato di uno spettacolo straordinario basato quasi unicamente sulla parola con la rinuncia quasi totale degli elementi sui quali sono costruite le trasmissioni televisive. La vera protagonista è stata la parola, ma attenzione, una parola alla quale l’interprete ha saputo dare tutta la forza che le è propria. Ed è riuscito a comunicarla a chi, forse per la prima volta, la sentiva come qualcosa di vivo e non come ripetizione stanca e insipida di cose risapute.

Penso che sia stato questo il vero merito di Benigni. Si è immedesimato nella parte, l’ha condivisa e l’ha comunicata in modo convincente e coinvolgente. Tanto da farla apparire una testimonianza di fede a spettatori che desideravano proprio questo. Ma è stata soltanto una “rappresentazione” della fede, cioè di quello che dovrebbe essere l’atteggiamento del credente di fronte ad una parola che in se stessa è sconvolgente. È questa la bravura di un attore: la capacità di rivivere, e far rivivere, ad ogni spettacolo il messaggio contenuto nel testo che interpreta. Non gli si chiede di credere, ma di far capire che cosa significa credere. E non è poco.

Da un annunciatore della fede, da un “predicatore”, invece ci si aspetta giustamente una “testimonianza” di vita e una coerenza di comportamenti, al di là del momento dell’annuncio. Ma penso che anche il predicatore non possa fare a meno della dote caratteristica dell’attore, cioè la capacità di comunicare, di far vivere la parola, di far emergere la ricchezza di messaggi che vuole trasmettere. Se non è così, il predicatore uccide la parola: è un assassino! Va contro il comandamento che dice:

NON UCCIDERE!

Quando ho sentito annunciare il “quinto” comandamento non sono sobbalzato sulla sedia, solo perché me lo aspettavo. Dico subito che la responsabilità dell’interpretazione non è di Benigni ma degli autori a cui si è ispirato. L’enunciazione tradizionale “Non uccidere” estende l’ambito dei comportamenti ad ogni azione che abbia come fine l’eliminazione della vita. Ma non è questo il significato del comandamento nel testo della Bibbia, che invece si riferisce ad un’azione ben specificata e delimitata, cioè “l’uccisione di un innocente”. Noi diremmo “un assassinio”. È questo il significato del verbo ebraico “ratsach” che viene usato nelle varie forme 49 volte nella Bibbia ebraica. Spesso viene associato alla pena inflitta a chi ha ucciso un innocente: la pena di morte!

È importante notare che quando si parla della pena di morte si usa un altro verbo, dal significato più generico (far morire = forma causativa del verbo morire) mentre per indicare l’uccisore è sempre usato il verbo che troviamo nel decalogo. Così in Numeri 35,19 si legge: “È il vendicatore del sangue che farà morire l’assassino: quando lo incontrerà, lo farà morire” in applicazione della “legge del talione” che prevedeva il principio: “vita al posto di vita” (Esodo 21,23). Per indicare altri modi di dare la morte si usano espressioni diverse, come “passare a fil di spada”, “lapidare”, “votare allo sterminio”, o si ricorre ad altri verbi dal significato generico (Giosuè 8,24 “harag”), tutte azioni ritenute non solo lecite ma addirittura doverose quando sono l’esecuzione di un ordine dato da Dio. Quindi per concludere si potrebbe dire che il comandamento espresso con quel verbo particolare “ratsach” difende la vita degli innocenti ma esige l’uccisione dell’assassino. Potrà anche dispiacere a chi è imbevuto della cultura imperante e che forse sperava di trovare nella Bibbia l’avallo delle sue idee. Ma la Bibbia va spiegata e capita per quello che effettivamente insegna e non può essere manipolata nemmeno per giustificare le cause più nobili,

Mi ha sorpreso (ma non più di tanto!) che in questa estensione di significato attribuito al comandamento che impone il rispetto della vita non si sia sentita una parola che indica l’uccisione di un essere umano che più innocente non si può: l’aborto. Sarà perché la nostra società lo ha derubricato classificandolo come asportazione con mezzi chimici o chirurgici di una escrescenza anomala della parete dell’utero. Definirlo “assassinio” è giudicato una provocazione dettata da fanatismo religioso, rigurgito di una mentalità ottusa oggi felicemente superata. Sia ben chiaro che con questo non dico assolutamente che il comandamento proibisca direttamente l’aborto. Si parla di altro, ma se si vuole spiegare un testo si deve prenderlo per quello che è non per quello che ci fa comodo. Come nel caso del comandamento che segue:

NON COMMETTERE ADULTERIO

Che sia questo l’oggetto del comandamento, è risaputo. Me l’hanno insegnato nel corso di esegesi negli anni ’50 del secolo scorso, l’ho ripetuto per quarant’anni quando è toccato a me insegnarlo. È innegabile che le diverse formulazioni inventate dai catechisti rivelavano un certo imbarazzo nel presentare ai ragazzi una situazione che non li riguardava. Al contrario la vita sessuale, a cui gli adolescenti erano tanto interessati, sembrava non avere nessuna importanza per la legge di Dio. Probabilmente i moralisti hanno pensato: “Per quale motivo un uomo vuole avere per sé la moglie di un altro? Per giocare a carte? Per avere una cuoca migliore? O per fare certi giochini che gli adulti hanno riservato a sé proibendoli ai ragazzi?”.

E allora hanno “esteso” la motivazione che sta alla base del comandamento a tutto ciò che può portare l’uomo a “rubare” ad un altro quello che gli era più caro: la sua donna. Se si controlla la sfera sessuale – devono aver pensato i moralisti – si elimina alla radice la causa che porta all’adulterio. Tutto qui. Niente macchinazioni segrete ma solo, se vogliamo, pigrizia intellettuale nel cercare la strada più facile da praticare per raggiungere un fine nobile. Peccato che ciò abbia comportato la non conoscenza della Bibbia, addomesticata a rispondere a domande non pertinenti. Con le conseguenze disastrose che sperimentiamo.

Non so se è chiaro che la chiesa cattolica (è di questa che sparlava Benigni) ha anticipato il metodo usato dalla cultura contemporanea nei riguardi del “non uccidere”. Da un caso particolare ben specificato si è allargata l’applicazione a situazioni che sono oggetto di leggi molto dettagliate presenti nella Bibbia ma non prese in considerazione nel decalogo. Basta anche una conoscenza superficiale del libro sacro per convincersi che si parla abbondantemente sia di sesso che di rispetto alla vita. Ma i dieci comandamenti affrontano temi limitati e precisi e in modo molto esigente.

Mi aspettavo che il tono solenne e perentorio usato in difesa della vita fosse presente anche quando il comico ha parlato dell’adulterio. Invece l’argomento lo ha fatto scivolare verso i registri interpretativi che gli sono più consoni: ammiccamenti, allusioni, mezze battute corrosive miranti a distrarre il pubblico e a minimizzare i drammi che il comandamento voleva evitare. Fino ad annunciare, anche se come proposta estrema dei Soloni della scienza, un uso terapeutico dell’adulterio. Il tutto in un clima diventato all’improvviso scherzoso che richiamava l’atmosfera pruriginosa del cabaret intellettualoide del secolo scorso.

Tutto presentato con una certa eleganza e con innegabile verve comunicativa che ha finito col prevalere nella valutazione positiva espressa da teologi e monsignori illustri. Mi sembra di ricordare che la Bibbia presenta un personaggio dotato di una grande abilità nel convincere la gente, proponendo cose meravigliose con argomenti suadenti. Qualcuno si è lasciato persuadere dai bei discorsi, e anche noi ne sappiamo qualcosa. Ci ha riprovato, anche servendosi di scenografie spettacolari, con un falegname di Nazareth, che però lo ha messo a tacere usando i suoi stessi argomenti. Alle parole della Bibbia, addomesticata ai fini del Grande Ingannatore, Gesù ha risposto con altre parole bibliche usate nel loro vero significato. Ed ha avuto la meglio.

È l’unico metodo valido per capire e apprezzare l’insegnamento che Dio ha voluto darci nelle pagine della Bibbia. Anche senza tuoni e lampi ma con parole che chiedono solo di essere capite e amate per diventare luce e guida della nostra vita.