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Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

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giovedì 26 giugno 2014

LE MURA DI GERICO - 1

RITROVATE LE MURA DI GERICO (1) Il metodo degli “scavi” in presa diretta. Il mio invito (nel post precedente) a “scavare nei dizionari” piuttosto che sotto la sabbia ha meravigliato qualche lettore, convinto che si conoscesse tutto su quello che riguarda il testo biblico. Ho voluto mettermi a “scavare” io stesso anche per far vedere in atto come si procede in questo tipo di ricerche...
E dallo “scavo” nei dizionari è venuto alla luce del materiale interessante che può gettare una luce sulle tanto discusse “mura di Gerico”. Non si tratta di novità assoluta, come già dicevo nel post precedente, ma di una conferma documentata dell’ipotesi che a crollare di fronte “a quelli che hanno attraversato il Giordano” (“’ebrei” deriva dal verbo “’abar” che significa “attraversare”) non siano state le pietre ma qualche altra cosa che costituiva la “difesa” della città. Quando si incomincia a “scavare” alla ricerca delle parole, prima di tutto si devono individuare tutti i testi dove si trova la parola o la frase che interessa. Quindi si devono leggere e studiare i singoli passi per confrontarli tra di loro e così ricavare dal contesto il significato da attribuire alla parola o alla frase. Si ottiene così una serie di significati che partendo da quello della radice della parola ne sviluppano le diverse accezioni. L’insieme di questi diversi significati forma così come una famiglia in cui si distinguono figli, fratelli, cugini e nipoti ma tutti uniti da uno stretto legame. È il metodo seguito da tutti i linguisti per comporre i dizionari o i vocabolari che elencano i vari significati tra cui scegliere quello più adatto al contesto che interessa. Nel nostro caso la parola da cercare nel testo ebraico è “chomah” che ricorre in tutta la Bibbia 133 volte in un totale di 123 versetti dove si presenta in 10 forme diverse (singolare, plurale, con suffissi vari, ecc.). A questo punto ho incominciato a leggere nel loro contesto tutti i 123 versetti che contengono la parola chomah cercando di capire a che cosa si riferiva. Nella maggior parte dei casi era usata per indicare senza alcun dubbio il muro che circondava certi agglomerati urbani a scopo di difesa e che venivano chiamati “città”, mentre quelli che ne erano privi venivano indicati con altri nomi. Il contesto era generalmente descrittivo di un muro con le caratteristiche particolari che lo distinguevano da altri tipi di muro, ad esempio quelli delle case o dei palazzi. L’idea che si ricava da questa ricerca è legata alla funzione del muro, cioè “difendere la città” da attacchi dei nemici o da ingressi di persone non gradite. In un certo numero di testi, quest’ultimo significato diventa prevalente. Chomah non è più visto come opera muraria ma assume il valore di “difesa”. Non interessano le pietre o le misure ma la funzione che queste avevano, cioè difendere da eventuali aggressori. È certamente questo il significato (già indicato in un post precedente) che assume il termine chomah nel racconto di 1 Samuele 25,16 dove si narra che gli uomini di Davide “sono stati una chomah – difesa – di notte e di giorno”. Nel testo ebraico non si trova la particella “come” (una difesa), che invece qualche versione moderna ha sentito il bisogno di introdurre per far capire al lettore che gli uomini in questione non erano un muro ma che svolgevano le stesse funzioni del muro di pietre, cioè “difendevano” i pastori. Un altro testo presenta le stesse caratteristiche ed è Nahum 3,8. Qui la “difesa” è rappresentata dall’acqua del Nilo che circonda l’isola sulla quale sorgeva la città di Tebe, protetta non da opere murarie ma dal grande fiume. Si tratta ancora di acqua con la stessa funzione, nel racconto drammatico di Esodo 14,22.29. Anche in questo caso l’acqua impedisce l’accerchiamento dei fuggitivi da parte degli inseguitori pur rimanendo nella sua posizione “orizzontale” senza dover assumere per un tempo indeterminato l’aspetto dell’onda di uno tsunami. Purtroppo una rappresentazione fantastica ha fatto leggere in questa descrizione molto più di quanto afferma il testo, se letto nella sua semplicità senza i pregiudizi accumulati nel corso dei secoli e che continuano a condizionare la nostra interpretazione. Non si tratta più di acqua ma di fuoco nel testo del profeta Zaccaria (2,9) che fa dire a Dio nei confronti di Gerusalemme: “Io stesso sarò per essa un muro di fuoco all’intorno” per assicurare la protezione divina alla città. Il senso metaforico dell’immagine è evidente e, almeno in questo caso, sembra che sia stato rispettato da tutti gli interpreti del testo. Nel libro di Geremia leggiamo che il profeta si sente inviato ad annunciare la parola di Dio, cosa che gli procurerà molti problemi e reazioni negative da parte del popolo a cui si rivolge. Ma il profeta è rassicurato da Dio (1,18) che gli promette di trasformarlo “in una città fortificata, in una torre di ferro, in mura (o “in un muro”) di bronzo”, espressione che ritorna anche in 15,20. Nessuno ha mai interpretato questa espressione in senso materiale ma, giustamente, è stato riconosciuto il senso metaforico che comprende sia l’idea della lotta come quella della vittoria assicurata. Sempre nel significato di sicurezza il termine “chomah” è usato nel libro dei Proverbi per indicare le ricchezze considerate da chi le possiede “come un muro elevato” (Proverbi 18,11). Chi non sa dominare i propri istinti, specialmente la collera, è esposto a qualsiasi genere di attacchi da parte degli altri, può essere aggredito da chiunque, è come “una città senza chomah” (Proverbi 25,28). Qui la mancanza di muro indica chiaramente qualcosa di diverso da una costruzione muraria e sottolinea in modo icastico la precarietà di una condizione di vita. Sulla stessa linea è il testo di Ezechiele 38,11 che descrive la vita di popolazioni tranquille e sicure come “gente che vive in luoghi senza muro”. Qui l’assenza di mura è vista in senso positivo ma si rimane sempre nell’ambito di un linguaggio metaforico. Infine nel Cantico (8,9-10) troviamo ancora una metafora che usa il termine chomah per descrivere il corpo della ragazza, considerato dai fratelli come un muro o una porta, mentre la ragazza stessa dice di essere un muro e i suoi seni come torri. Anche se non è subito evidente il significato da dare alla parola in questione è fuori dubbio che viene usata in senso metaforico. Dunque sono almeno sette casi in cui chomah viene usato in senso figurato per indicare la “difesa” di una città, di un popolo, di una persona, senso che è implicito in tutti gli altri casi. A questo punto penso che sia non solo lecito ma doveroso chiedersi se, nel caso in cui il racconto biblico presenti dei tratti inverosimili, miracolistici, sensazionali legati ad un “muro” non debba essere letto come una metafora e interpretato di conseguenza. Se poi, come abbiamo già visto, vi sono altri racconti che presentano lo stesso schema narrativo, a prescindere dal termine chomah, non è azzardato pensare che esistesse un “modo di raccontare” certi fatti del passato, comune ad una certa cultura giunta a noi attraverso la Bibbia. Gli studiosi hanno classificato questo schema narrativo tra i “generi letterari” con cui una determinata cultura esprime le proprie idee, i propri sentimenti, il proprio modo di vivere, la propria fede religiosa. (Continua nel post seguente)