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Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

mercoledì 27 agosto 2014

MA GESU’ ERA RAZZISTA?

La domanda è inevitabile se leggiamo il racconto di Matteo al capitolo 15 dal versetto 21 al 27. E la risposta è altrettanto evidente: Sì, si comporta come un vero razzista. Però il racconto termina al v. 28. Perciò la risposta deve tener conto di tutto il brano e non solo di una parte. Si tratta di un testo esemplare per la composizione letteraria e che deve essere analizzato attentamente per scoprirne il vero significato senza fermarsi a considerazioni superficiali e parziali….

Lo schema del racconto


Bisogna subito notare lo schema narrativo. Il v. 21 precisa il luogo dove è collocato l’avvenimento: siamo ai confini del territorio abitato da Ebrei e quindi ci troviamo a contatto con popolazioni “straniere”. È un elemento fondamentale per capire il racconto vero e proprio che è scandito in quattro momenti, ognuno dei quali è articolato in forma di domanda e risposta.


- Presentazione della donna straniera (v. 22) e prima richiesta di intervento. Gesù la ignora completamente: “non le rivolse neppure una parola” (v. 23).


- Intervento dei discepoli infastiditi dalle grida della donna interpretate come manifestazione di arroganza (v. 23). Gesù risponde ai discepoli con una motivazione teologica: la sua missione riguarda soltanto il popolo di Israele (v. 24).


- La donna blocca Gesù gettandosi ai suoi piedi: “Signore, aiutami!” (v. 25). Anche in questo caso Gesù non risponde alla donna ma si rivolge ai discepoli continuando a spiegare il perché del suo atteggiamento. La sua posizione è chiara e raggiunge la sua massima espressione quando si trasforma in disprezzo verso la straniera, espresso con un insulto crudele (v. 26).


- La donna non reagisce come avrebbero fatto altri, protestando o imprecando contro chi l’aveva offesa così pesantemente (v. 27). Accetta la discriminazione fatta da Gesù, e la giustifica con una dichiarazione inaspettata che sembra cogliere di sorpresa il maestro. Ed ecco che la tensione creata dal racconto si scioglie nelle parole di Gesù che dall’insulto passa immediatamente alla lode per la fede di quella straniera (v. 28).


Due percorsi psicologici


Si deve ancora notare come l’autore delinea il percorso psicologico compiuto dai due protagonisti: Gesù parte dall’indifferenza, poi fornisce le motivazioni del suo atteggiamento, lo porta alle estreme conseguenze giungendo al disprezzo. È un crescendo che possiamo definire negativo, ma che è funzionale nella dinamica del racconto, proprio perché sfocia nella conclusione che capovolge il giudizio sullo straniero.

Dal disprezzo si passa all’ammirazione e alla lode portando il potenziale nemico ad esempio per tutti. Ma in parallelo abbiamo anche il percorso della donna che in qualche modo si svolge in senso inverso a quello di Gesù. La sua prima richiesta di aiuto è formulata con un linguaggio che potremmo definire “burocratico”. Espone una situazione drammatica ma in modo impersonale.

Si ha l’impressione che consideri l’intervento richiesto come qualcosa di dovuto. Si rivolge al “figlio di Davide” perché tutti lo chiamano così. Dimostra certamente di avere fiducia in lui, ma in quanto rivestito di autorità e quindi in possesso di qualità straordinarie. La seconda richiesta è accompagnata da un gesto significativo. Prima gridava da lontano, adesso si avvicina, si getta ai piedi di Gesù impedendogli di camminare e dice una sola parola: ”Aiutami!”.

Data la vicinanza con il maestro, possiamo pensare che non abbia gridato con la voce. Il gesto stesso era un grido disperato. Non rivendica un diritto, riconosce la propria indigenza e si rivolge a chi può esaudire la sua richiesta. Semplicemente. È un passo importante che prelude all’ultima tappa di un cammino, breve nel tempo ma lungo per tutta la storia dell’umanità: il superamento delle barriere che contrappongono i popoli tra di loro.

L’espressione di disprezzo usata da Gesù, invece di provocare una reazione risentita viene accolta come la costatazione di un dato di fatto. La donna riconosce e accetta la sua inferiorità sottolineata così brutalmente dal riferimento ai cani, perché i vantaggi che spera di avere con la guarigione della figlia sono talmente grandi da non far sentire l’offesa dell’orgoglio ferito. Non avanza più pretese, non ha diritti da rivendicare, non ha posizioni di prestigio da difendere ad ogni costo. L’arroganza iniziale si trasforma in supplica senza pretese. La sua debolezza è disarmante e diventa la sua forza vincente. Finalmente, è Gesù a crollare. O meglio, a trovarsi nella situazione giusta che gli permette di manifestare le sue vere intenzioni.

Che non sono quelle descritte negli atteggiamenti precedenti ma quelle che emergono dalla considerazione finale. A questo punto la risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio diventa evidente. Il maestro ha indossato i panni del razzista usando la sua terminologia e ricalcando i suoi comportamenti per dimostrare l’assurdità di una ideologia perversa, anche se mascherata da elucubrazioni teologiche addomesticate o da giustificazioni pseudo culturali di comodo.


Non ci sono “i buoni” e “i cattivi”


Ma nel percorso della donna Matteo fa capire anche come deve essere l’atteggiamento di chi si sente discriminato, se vuole uscire dalla situazione di disagio in cui si trova. L’orgoglio non è una virtù, nonostante si sia sempre proclamato il suo valore sociale e la sua importanza per l’affermazione della propria dignità. Se l’orgoglio è condannato quando spinge il più forte a calpestare i diritti del debole, deve essere considerato ugualmente, se non di più, negativo, quando porta il debole a contrapporsi all’oppressore in una sfida persa in partenza.

Con l’unico risultato di continuare all’infinito una lotta assurda nella quale tutti sono perdenti. Notiamo ancora che alla fine del racconto si stabilisce finalmente un dialogo tra Gesù e la donna straniera che fino a quel momento era stata ignorata, ma che a sua volta aveva cercato solo di ottenere qualcosa di concreto. Nessuno dei protagonisti sembrava interessato a cercare di costruire con l’altro un rapporto personale, che invece si rivela decisivo per la soluzione positiva.

Nel racconto non ci sono buoni e cattivi definiti in base alla loro appartenenza sociale o alla loro origine. Ciò contrasta con l’opinione, che si vorrebbe far passare per comune, che gli stranieri siano tutti buoni in forza della loro situazione, e quelli che dovrebbero accoglierli siano tutti cattivi perché vivono nella terra in cui sono nati. E non dimentichiamo che anche gli altri popoli condividevano le stesse idee nei confronti non solo degli Ebrei ma di tutte le popolazioni di origine diversa dalla propria.

Non sarà certamente il buonismo dilagante oggi a risolvere il problema con sofismi anti storici. I racconti evangelici riferiscono altri episodi simili a quello che stiamo studiando. Pensiamo alla donna che tocca il mantello di Gesù o al centurione romano che chiede la guarigione del servo o al padre che intercede per la figlia. Ma in tutta la Bibbia ebraica si ripete come un ritornello l’affermazione che “Dio resiste ai superbi” e accoglie benevolmente chi si rivolge a lui senza alcuna pretesa. È il tema sviluppato nella preghiera che Luca mette sulla bocca di Maria e che è conosciuta con i
l nome di “Magnificat”.