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Scuola on line: Introduzione allo studio della Bibbia

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

Gli insegnamenti di Don Giovanni Boggio (Biblista)

mercoledì 26 aprile 2017

CONFUSIONI PERICOLOSE


         Abbiamo visto quanto sia facile scambiare le immagini con la realtà che rappresentano. Ma l’identificazione è anche fonte di grossi equivoci soprattutto quando si tratta di questioni importanti. Per non cadere nella trappola, prima di tutto è necessario capire a quale tipo di immagine ci troviamo di fronte e qual’è il motivo per cui ci viene presentata. Prendiamo l’esempio dalle figure presenti nei segnali stradali. Lo scopo per cui sono realizzati è quello di informare il viaggiatore sulle condizioni della strada e soprattutto di mettere in guardia da eventuali pericoli. Per ottenere questo si ricorre a disegni stilizzati secondo schemi convenzionali che non hanno nessun riscontro preciso con la realtà che viene rappresentata in forme astratte. Nessuno si aspetta di trovarsi davanti due bambini che si tengono per mano come quelli del segnale. E anche se ne vede uno solo, oppure una frotta vociante e disordinata che gli attraversa la strada, sa che deve frenare anche se l’immagine che ha visto prima è diversa dalla realtà che vede davanti a sé.

         Potrà anche sembrare banale, ma è capitato spesso – non solo in passato – che i racconti della Bibbia abbiano avuto una lettura che non teneva conto della finalità e della tecnica letteraria con cui erano stati composti. Una di queste tecniche consisteva nell’accostare due o più racconti diversi o addirittura contrastanti. Il lettore intelligente era messo in guardia dall’attribuire all’uno o all’altro un valore assoluto ed era così invitato a riflettere sulla complessità dell’esistenza umana che sfugge sempre ad ogni catalogazione riduttiva. Le “idee chiare e distinte” non erano l’ideale che guidava la conoscenza del mondo antico, esposto molto più di noi alle incertezze e alla precarietà della vita quotidiana.
         Era ben consapevole di questi limiti l’autore di un libro del Tanak (la Bibbia scritta in ebraico) che conosciamo come il Qohèlet, quando elencava le quattordici coppie di eventi contrapposti con le quali sintetizzava l’esperienza dell’uomo. “C’è un tempo per nascere e un tempo per morire… C’è un tempo per demolire e un tempo per costruire… C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare… C’è un tempo per la guerra e un tempo per la pace” (Qohèlet 3,2-8) scriveva, convinto che solo Dio poteva conoscere il senso di tutto ciò che accade (cfr. 3,9-15).
Se leggiamo i racconti biblici tenendo presenti queste considerazioni, non ci meraviglieremo delle dissonanze, che anzi diventeranno elementi che garantiscono la fedeltà del narratore nel riportare quanto era riuscito a sapere su di un avvenimento o su di un personaggio, descritti senza manipolazioni. E quando queste ci siano state, potranno anche essere facilmente scoperte.
Forse molti avranno sentito parlare di un libro della Bibbia intitolato Giudici. Il libro riporta una serie di racconti sulle imprese compiute dai capi di diverse tribù che formavano il popolo di Israele. Tutti conoscono la storia di Sansone con le imprese mirabolanti che gli sono attribuite (Giudici cap. 13-16), altri conosceranno anche i racconti riguardanti Gedeone (cap. 6-8), forse pochi avranno sentito parlare di Debora (cap. 4-5).
Certamente sono pochissimi quelli che sanno qualcosa di un certo giudice chiamato Tola o di un altro detto Iair. Ma neanche chi ha scritto di questi due illustri sconosciuti ne sapeva qualcosa di più. Del primo era riuscito a ricuperare qualche notizia riguardante la famiglia, il luogo di nascita e quello della sepoltura ma niente altro. Eppure, ci dice che aveva governato per ben ventitre anni! (Giudici 10,1-2). Il secondo, nei ventidue anni di governo generò “trenta figli, che cavalcavano trenta asini e avevano trenta città” (10,3-5), grande impresa che gli meritò una fama imperitura! Poco importa se il testo ebraico insiste sugli asini dimenticando le città, come invece riportano le antiche versioni.
Il numero “trenta” doveva essere carico di significati per gli antichi ebrei se lo troviamo ancora riferito alle gesta di un altro giudice di nome Ibsan, ricordato solo perché “ebbe trenta figli, maritò trenta figlie e fece venire da fuori trenta fanciulle per i suoi figli” (12,8-10). Del giudice seguente non è rimasto nessun ricordo se non il nome, Elon, la provenienza, la durata del suo governo e il luogo della sepoltura. Un po’ più fortunato Abdon, ricordato perché “ebbe quaranta figli e trenta nipoti, i quali cavalcavano settanta asinelli” (12,11-15).
È evidente che questi racconti sono ricordi popolari raccolti e riportati fedelmente senza alcuna pretesa di ricostruzione storica, come la intendiamo noi. Tutto ci porta a pensare che anche le gesta degli altri Giudici, nonostante siano ricche di tanti particolari, abbiano le stesse caratteristiche dei racconti più sobri e che quindi debbano essere valutati con gli stessi criteri: sono “storici” perché hanno conservato gelosamente i ricordi di un popolo e non perché descrivono esattamente quanto accaduto in un passato lontano.
Chi ha raccolto e ordinato questi brandelli di memoria collettiva ci ha fornito anche la chiave per capire le sue intenzioni. All’inizio della sua opera dichiara apertamente di aver scoperto in tutte le vicende che si accinge a raccontare un filo conduttore: la presenza del Dio di Israele nelle vicende del suo popolo attraverso l’invio di uomini o donne a cui affida un compito di grande responsabilità (Giudici 2,6-3,6). Si tratta quindi dell’interpretazione religiosa di avvenimenti che devono essere considerati nel loro insieme. Una lettura che non tenga conto di questo aspetto è contraria a quanto vuole comunicare la Bibbia.
Questo principio vale anche per gli altri libri che consideriamo sacri. Ad esempio, se leggiamo solo il capitolo primo della Genesi, non possiamo dire che ci troviamo di fronte all’insegnamento della Bibbia sull’origine del mondo e dell’umanità. Infatti il capitolo seguente presenta un’idea diversa e in contrasto con quella del capitolo primo. Non è qui il caso di presentare la spiegazione di questi due testi. Anche solo una lettura rapida e superficiale rende evidente che si tratta di due concezioni differenti dello stesso tema. L’accostamento delle due tradizioni dimostra che né l’una né l’altra corrisponde esattamente a quello che noi chiamiamo Big Bang.
È come se il compilatore del libro dicesse: “Mi chiedi come ha avuto origine il mondo? Non lo so, c’è chi la descrive in un modo e chi in un altro. Però tutti sono convinti che tutto ha avuto origine da un intervento di Dio”. Poi potremo discutere se questa convinzione coincide con le nostre idee, ma non possiamo accusare la Bibbia di falsità a questo riguardo, perché la Bibbia stessa dice di non avere una risposta unica alla nostra domanda. Come lo dice? In un modo disarmante: presentando semplicemente due risposte diverse. Eppure tutti sappiamo quali conseguenze ha portato una lettura di questi racconti come se fossero un resoconto scientifico di quanto accaduto. Si sono inventati collegamenti assurdi tra i “giorni” della Genesi e le ere geologiche degli scienziati moderni, si sono cercate tracce che giustificassero l’evoluzione delle specie, tutto per mettere d’accordo la Bibbia con la scienza. Bastava ricordare che l’immagine non è la realtà e si sarebbe risparmiato tempo e polemiche inutili.
Anche quando presentano i personaggi gli autori biblici seguono lo stesso criterio, riportano le notizie che hanno raccolto e le offrono ai loro lettori. Come in un quadro si alternano luci e ombre così nel racconto virtù e vizi, forza e debolezze, coraggio e viltà delineano una figura molto vicina alla realtà, senza la pretesa di rappresentarla completamente. Lo abbiamo già notato in riferimento al re Salomone, esaltato in alcuni testi e condannato in altri per i suoi comportamenti.
Lo stesso avviene per suo padre, il grande re Davide. Se qualcuno dicesse che era un sanguinario, uno scellerato, sul capo del quale il Signore ha fatto ricadere il sangue che aveva sparso uccidendo tutti i membri della famiglia del re Saul, susciterebbe la meraviglia di molti abituati a sentire altre definizioni del santo re rappresentato mentre suona la cetra con la quale accompagna il canto dei Salmi da lui composti in onore di Dio. Eppure quelle accuse sono scritte nella Bibbia che le attribuisce ad un oppositore del re, ma in realtà descrivono un aspetto documentato ampiamente in altre pagine (cfr. 2 Samuele 16,5-14).
Le difficoltà di capire il significato dei testi non è da attribuire alla Bibbia ma sta nel lettore che si lascia condizionare dai propri pregiudizi e rifiuta di vedere quanto è scritto davvero nei testi. Proviamo a leggere questi libri non per sapere che cosa è accaduto in quei tempi lontani ma per conoscere che cosa ricordavano gli Ebrei della loro storia e come e perché lo hanno raccontato così. Forse qualcuno dirà che è una scappatoia, ma è l’unico metodo di lettura “scientifico” perché, lo ripeto ancora fino alla noia, ci troviamo di fronte a delle “immagini della realtà e non alla realtà rappresentata”.

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